PSICHE E SOCIETA’
Perché l’eco della guerra distrugge le relazioni dialogiche?
di Giovanna Bosco
Non appena il discorso cade sulle guerre in corso, facciamo continuamente esperienza della enorme difficoltà a mantenere una relazione dialogica, in cui anche una parziale differenza di punti di vista non sia immediatamente percepita come qualcosa di intollerabile e riprovevole. Persino tra persone che hanno per lungo tempo condiviso aspetti importanti della vita (affetti, amicizia, stima, visioni del mondo e imprese comuni) può accadere di trovarsi in men che non si dica schierati in campi avversi, come se ci si scoprisse arruolati, volenti o nolenti, in eserciti contrapposti. Questo avviene soprattutto quando le guerre e i conflitti sono percepiti come “vicini”, anche se non li viviamo in prima persona.
Parlando di vicinanza non mi riferisco solamente a un dato geografico ma penso soprattutto a quel vissuto di prossimità derivante da fattori culturali, identitari, emotivi. continua a leggere
Relazioni di genere e inconscio sociale
Il 10 febbraio di quest’anno abbiamo tenuto come Associazione E-spèira un Seminario on-line sul tema “Relazioni di genere e inconscio sociale”. Pubblichiamo qui la relazione introduttiva al Seminario, tenuta da Giovanna Bosco. La relazione, volutamente sintetica, è stata completata dalla proiezione di spezzoni di film, per attivare anche la dimensione non verbale che è solitamente penalizzata nella comunicazione virtuale, in modo da favorire il contatto con gli stereotipi di origine sociale su maschile e femminile che abbiamo spesso in modo inconsapevole interiorizzato e per evidenziare come le rappresentazioni di genere si sono andate modificando nel corso degli ultimi decenni. E’ poi seguita un’ampia discussione che ha permesso una ulteriore elaborazione del tema e la messa a fuoco di nuovi interrogativi meritevoli di approfondimento.
RELAZIONE INTRODUTTIVA
di Giovanna Bosco
Perché utilizziamo IL CONCETTO DI GENERE maschile o femminile:
Il concetto di genere è stato introdotto per distinguere tra:
1. le differenze biologiche fra i due sessi.
2. le rappresentazioni del femminile e del maschile di origine sociale, che mutano nel tempo e variano a seconda della cultura e del gruppo sociale in cui si sono costruite.
Il concetto di genere pone inoltre l’accento sulla dimensione relazionale: maschile e femminile non sono categorie indipendenti. Ciò che intendiamo per uomo e per donna comprende continua a leggere
Come è difficile pensare nel tempo della pandemia
di Giovanna Bosco
Pochi mesi fa Lancet, una delle più autorevoli riviste scientifiche in ambito medico, sollecitava la collaborazione della psicoanalisi per aiutare chi si occupa di salute pubblica (dagli operatori sanitari ai funzionari pubblici) a comprendere i motivi del diffuso rifiuto ad accogliere le raccomandazioni che provengono dalla medicina e dalla scienza e a migliorare la propria capacità di trattare il fenomeno della negazione di massa, mandando messaggi più adeguati. Questo appello nasceva dalla considerazione che oggi la popolazione ha molte più informazioni di tipo medico rispetto al passato ma contemporaneamente rifiuta le conclusioni cui perviene la scienza. continua a leggere
‘L’incontro con la diversita’: introduzione al workshop del sett. 2019 e discussione di gruppo
INTRODUZIONE
di Giovanna Bosco
Poiché si sostiene spesso che le ragioni della sicurezza rendono necessaria l’esclusione della diversità, vorrei iniziare proponendovi un pensiero sviluppato già anni fa da Diego Napolitani, fondatore della Società Gruppoanalitica Italiana.
Nel saggio “Identità, alterità, culture” (pubblicato sulla Rivista on-line Comprendere, n. 19, 2009) segnalava che sicuro “viene dal latino se-curum dove il se- indica privazione e cura significa ‘interessamento solerte e premuroso per un oggetto, che impegna sia il nostro animo che la nostra attività’ (Vocabolario Treccani)”. Chi vuol essere totalmente al sicuro vuole dunque essere esonerato da ogni interessamento per l’Altro. “La tutela della propria identità, non solo individuale ma anche collettiva – aggiungeva D. Napolitani – può arrivare al punto che la semplice apparizione del ‘diverso’ provochi una reazione d’allarme che scatena una violenza distruttiva (…)”. Il diverso va così “eliminato” perché il suo stesso esistere è sentito come minaccia per la propria visione del mondo, assunta come continua a leggere…
Workshop “per restare umani”: riflessioni sul lavoro del gruppo
di Velia Bianchi Ranci
L’attesa di incontrare un gruppo nuovo è sempre carica di pensieri , emozioni e interrogativi che sono quelli che poi orienteranno l’esperienza nel suo svolgersi.
Questo vale per tutti i partecipanti, ognuno a suo modo, e vale naturalmente anche per chi si assume il ruolo di accompagnare il gruppo nel suo percorso.
Quando ho incominciato a pensare all’incontro di gruppo offerto da Espèira con l’obiettivo di provare a riflettere sulla situazione sociale in cui siamo immersi, partendo dai nostri vissuti e dalle nostre paure, il mio primo pensiero/preoccupazione è continua a leggere…
Workshop “per restare umani”: introduzione, discussione, conclusioni
Premessa
Giovanna Bosco
La mia relazione è stata suddivisa in due parti, per introdurre le due fasi del workshop in cui si è sviluppata la discussione di gruppo. La proposta di incontrarsi per "mettere in comune emozioni e pensieri per restare umani", era rivolta sia a colleghi psicoterapeuti e operatori delle professioni di aiuto che a cittadini interessati al tema, Il workshop si è svolto il 9 marzo 2019 presso la sede dell'Associazione E-spèira.
Le comunicazioni introduttive sono state volutamente brevi: il loro scopo era quello di permettere di focalizzare il tema e, in particolare la prima, di favorire il riconoscimento e la libera espressione del disagio e delle paure che possono manifestarsi in ognuno di noi quando siamo esposti all’incontro con la “diversità” continua a leggere…
Amed: storia di un viaggio senza approdo
di Ugo Giansiracusa
Riproponiamo qui, per gentile concessione dell'autore, un testo di Ugo Giansiracusa, scritto e pubblicato nel 2009, ma ancor oggi attuale. Non solo per i suoi contenuti, ma per la qualità poetica della scrittura, che trascende i significati convenzionali del linguaggio scritto per farsi
"parola piena", emozione, immagine. Per noi che da tempo ci occupiamo dell'indicibile, è forse questo l'unico modo per riaprire varchi di
umanità là dove si agitano i vessilli della paura e del disprezzo. continua a leggere…
Migrazioni e angosce persecutorie nelle popolazioni che ricevono i migranti
di Giovanna Bosco
Come professionisti della salute non possiamo ignorare i danni alla salute collettiva che la narrazione Salviniana sulle migrazioni sta causando: de-umanizzazione dell’Altro da sé; creazione di capri espiatori cui addossare stabilmente la colpa di ogni malessere personale e sociale, con conseguente perdita di contatto con il proprio Sé e la propria essenza umana.
Chi fa il nostro lavoro si rende conto che non è sufficiente contrapporre informazioni e dati di realtà alla narrazione deformante sulle migrazioni o sulla presenza di gruppi etnici come i Rom. E’ una narrazione il cui appeal sta proprio nel ridurre fenomeni complessi sia sul piano politico-sociale che sul piano emozionale a spiegazioni semplificatrici e banalizzanti, continua a leggere…
Il lavoro nelle istituzioni: contributo di G. Bosco al Seminario del 23 febbraio 2018
Alle radici di un ossimoro
Ogni volta che mi soffermo a ripensare le mie esperienze nelle istituzioni, o che ascolto un gruppo di colleghi parlare delle istituzioni in cui lavorano, ho la sensazione di addentrarmi in un luogo pieno di contrasti e contraddizioni, di luci e di ombre, che solo degli ossimori possono racchiudere e tenere insieme: gusto dolceamaro? chiarezza tenebrosa? espansione vincolata?
Le istituzioni sono oggetti complessi, e non è facile conoscerle, non solo per il rapporto ambivalente che spesso abbiamo con le forme di organizzazione sociale fondate su norme e consuetudini vincolanti, ma anche per la intrinseca contradditorietà delle istituzioni. continua a leggere…
Psicoterapia gruppoanalitica del trauma (1° parte)
di Werner Knauss
Pubblichiamo qui la prima parte di un articolo, scritto in inglese, ricevuto da Werner Knauss, già Presidente della Group Analytic Society (International),
La seconda parte verrà pubblicata dopo l'estate
La traduzione del testo è di Giovanna Bosco
1. La Darkroom
In una performance di danza dal titolo“the Darkroom” (N.d.T.: “camera oscura” per sviluppare le pellicole, ma anche stanza oscurata di certi club privè dove si svolgono pratiche sessuali trasgressive) il protagonista assume il ruolo dello spettatore che osserva standosene in disparte. Egli desidera entrare in un gruppo di ragazzi che “vanno forte” ed è gradatamente attirato in una banda di giovani che hanno sviluppato un terribile rituale per il week-end. Con l’ausilio delle droghe e dell’alcol seducono gruppi di giovani donne in una Darkroom poi obbligano le donne ad avere rapporti sessuali con ciascuno di loro.
Pian piano il protagonista lascia la posizione dell’osservatore e viene attirato dentro il gruppo. Egli viene attaccato fisicamente, sminuito e umiliato perché è innamorato di una ragazza straniera, che viene dall’Inghilterra. Lentamente, entra in un rapporto di collusione con la banda. Infine assume il ruolo del cameraman e riprende le scene, che saranno poi vendute.
Questa performance riesce efficacemente a far sì che il pubblico assuma il ruolo, con cui la maggior parte degli spettatori si identifica, di chi osserva, stando in disparte, le terribili scene traumatiche che vengono sperimentate sulla scena e che hanno luogo tra la gang dei ragazzi e il gruppo delle ragazze. Tutti sono traumatizzati: gli autori delle violenze, le vittime e, indirettamente, il pubblico.
Durante la discussione che si svolge al termine della performance emerge chiaramente che il pubblico oscilla tra due posizioni: la rabbia suscitata dalle scene traumatiche: “perché sono costretto a guardare queste cose?” e la dissociazione espressa sotto forma di negazione: “tutto questo non ha nessun senso”. Alla fine sono sconvolti da ciò che hanno visto. Si identificano con gli autori delle violenze e con le vittime, soffrendo di controllo onnipotente, terribile ansia, impotenza e speranza che tutto ciò finisca e che i responsabili siano puniti.
E’ questo il nostro ruolo in un gruppo analitico quando uno dei pazienti descrive un trauma che ha provato. Quali sono le precondizioni per elaborare le esperienze traumatiche individuali e collettive? Quale potrebbe essere il compito di un gruppoanalista nel creare una situazione gruppoanalitica intesa come spazio sicuro in cui il trauma possa essere ricordato, descritto in ogni dettaglio ed elaborato? continua a leggere…