Relazioni di genere e inconscio sociale

Il 10 febbraio di quest’anno abbiamo tenuto come Associazione E-spèira un Seminario on-line sul tema “Relazioni di genere e inconscio sociale”.  Pubblichiamo qui la relazione introduttiva al Seminario, tenuta da Giovanna Bosco. La relazione, volutamente sintetica,  è stata completata dalla proiezione di spezzoni di film, per attivare anche la dimensione non verbale che è solitamente penalizzata nella comunicazione virtuale, in modo da favorire il contatto con gli stereotipi di origine sociale su maschile e femminile che abbiamo spesso in modo inconsapevole interiorizzato e per evidenziare come le rappresentazioni di genere si sono andate modificando nel corso degli ultimi decenni.  E’ poi seguita un’ampia discussione che ha permesso una ulteriore elaborazione del tema e la messa  a fuoco di nuovi interrogativi meritevoli di approfondimento. 

RELAZIONE INTRODUTTIVA

di Giovanna Bosco

 

Perché utilizziamo IL CONCETTO DI GENERE maschile o femminile:

Il concetto di genere è stato introdotto per distinguere tra:

1.  le differenze biologiche fra i due sessi.

2. le rappresentazioni del femminile e del maschile di origine sociale, che  mutano nel tempo e variano a seconda della cultura e del gruppo sociale in cui si sono costruite.

Il concetto di genere pone inoltre l’accento sulla dimensione relazionale: maschile e femminile non sono categorie indipendenti. Ciò che intendiamo per uomo e per donna comprende  il modo in cui gli uomini vedono le donne, cosa si aspettano da loro, come si relazionano a loro; e viceversa per quanto riguarda le donne.

La psicoanalisi ha per molto tempo posto l’accento in modo pressochè esclusivo, fino a non molto tempo fa, sul rapporto tra biologia e psiche, e solo ultimamente si va portando l’attenzione, in certi settori della psicoanalisi e nella gruppoanalisi,  sui fattori storico-culturali che determinano ciò che intendiamo per donna e uomo. Personalmente penso che entrambe le componenti, la biologia e la cultura, influiscano sulla vita psichica, anche rispetto alle questioni di genere.

Nel seminario intendiamo  occuparci degli aspetti tradizionalmente ignorati, ossia di quelle rappresentazioni delle relazioni di genere che derivano dall’interiorizzazione delle molteplici esperienze fatte nel corso della vita – nella famiglia, nei gruppi, nella società – come pure dei modelli di origine culturale che si sono impressi in noi, di natura conscia o inconscia.

 

L’INCONSCIO SOCIALE

Ci può essere d’aiuto in questa ricerca il concetto di INCONSCIO SOCIALE: secondo lo psicoanalista e gruppoanalista Earl Hopper e altri autori che hanno contribuito a sviluppare questa concettualizzazione, l’inconscio sociale è quell’insieme di idee pre-costituite, vissuti, aspettative nei confronti dell’altro e idee su ciò che gli altri si aspettano da noi, che hanno la loro origine nel sociale.  Cose che sono state internalizzate attraverso tutto ciò che abbiamo sperimentato nel corso della vita mediante le molteplici esperienze relazionali fatte all’interno delle varie articolazioni della società e dei diversi contesti culturali con cui siamo venuti in contatto: la rete di relazioni familiari, la scuola, le amicizie, i gruppi di cui abbiamo fatto parte, i libri letti ed  i film visti….  Un insieme di esperienze che ci porta a sentire come “naturali” e ovvie idee, comportamenti, rappresentazioni che non hanno nulla a che fare con la natura in quanto sono di origine “culturale”.

Sono di natura inconscia proprio perché accompagnate da un vissuto per cui “è naturale e ovvio che sia così”, “non può essere che così”  mentre restano fuori dalla consapevolezza le specifiche esperienze da cui originano. Oppure, come sottolinea Hopper, quelle esperienze passate sono coscienti, ma non si riconosce il legame tra quel passato e il modo in cui noi sentiamo e ci comportiamo. O ancora, pur si riconoscendo quel rapporto, non gli si attribuisce adeguata importanza.

I cambiamenti nei rapporti di genere: i paesi occidentali hanno visto negli ultimi decenni dei cambiamenti rapidi, anche se tumultuosi e non lineari, nei rapporti di genere. Partendo da un modello patriarcale che definiva in modo rigido cosa si intende per “vero” uomo e “vera” donna, e che era più o meno restato immutato per secoli, dal secondo dopoguerra in poi ci sono stati profondi cambiamenti nella struttura sociale, e le donne hanno acquisito il diritto di voto, hanno iniziato a lavorare, a entrare nelle professioni e nella vita pubblica.

Man mano che si estendevano alle donne libertà e diritti che da secoli erano stati negati, anche gli uomini hanno dovuto ridefinire se stessi e i modelli di virilità socialmente acquisiti.

I rapidi cambiamenti, in qualsiasi campo avvengano,  rimettono in discussione assetti psichici rimasti immutati per molto tempo, tramandati di generazione in generazione: ad esempio, nel nostro caso il fatto che alle donne per tradizione competono la cura e il nutrimento, e si ritiene loro pressoché esclusiva responsabilità il buon andamento dei rapporti familiari (di qui possono derivare i sensi di colpa da parte della donna  quando il rapporto  non funziona), mentre dagli uomini non ci si aspetta questa assunzione di responsabilità rispetto alle relazioni, ma piuttosto che procurino le risorse necessarie alla famiglia (cosa che in questi tempi di precariato, di incertezza diffusa, anche sul piano lavorativo, rispetto al futuro è tutt’altro che semplice).

Qui sorgono alcune domande: cosa accade sul piano psichico quando la società cambia rapidamente, per quanto riguarda i rapporti di genere, nel corso di una stessa vita, e noi con essa? Cosa può accadere quando le esperienze e i modelli che si sono impressi dentro di noi non sono coerenti tra loro, quando il passato che ci abita è contraddetto da ciò accade nel presente, e a volte da ciò che noi stessi oggi pensiamo?

Non ho tutte le risposte, ma vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che sia gli uomini che le donne debbono affrontare un percorso non lineare e spesso contradditorio, di ricerca di nuove vie di espressione della propria femminilità e mascolinità, di maggiore intercambiabilità di certe funzioni, di nuovi modi di relazionarsi, di riconoscimento delle differenze personali all’interno dei generi. Un percorso che può avere come esito una maggiore libertà e creatività, oppure può incagliarsi o lasciare ferite profonde.

Non è semplice per gli uomini accettare di perdere potere. E neppure ridefinire in modo più flessibile e libero la propria mascolinità, abbandonando quegli stereotipi, depositati nell’inconscio collettivo, su cui si fonda la propria identità maschile, anche se  ingombranti (mentre attribuiscono all’uomo una posizione dominante rispetto alla donna, lo obbligano però anche a corrispondere a rigidi modelli di forza e sicurezza, non ammettono fragilità, dubbi o incertezze).

Anche per le donne non è sempre scontato ridefinire il proprio rapporto con il maschile, rinunciando alla protezione (vera o immaginaria) di un uomo. Lo smantellamento  delle convenzioni trasmesse per secoli comporta maggiore libertà, ma priva di punti di riferimento certi, e questo può suscitare smarrimento. Una donna può ad esempio aderire razionalmente ai nuovi modelli di emancipazione e parità uomo-donna, ma continuare ad essere abitata inconsapevolmente, nella sfera dei rapporti più intimi, da rappresentazioni antiche e stereotipate dei rapporti tra generi che fatica a riconoscere.

 

GLI STEREOTIPI DI GENERE

Per quanto riguarda i rapporti di genere, tendiamo a parlare spesso per stereotipi, generalizzando una singola esperienza. Anche la cultura in cui siamo e siamo stati immersi tende ad attribuire aprioristicamente determinate caratteristiche alle donne (tutte le donne), o agli uomini (tutti gli uomini), ed ai rapporti tra loro.

Gli stereotipi iniziano con le esperienze fatte da piccoli in famiglia o nella scuola: come siamo stati trattati in quanto maschi e in quanto femmine, cos’abbiamo appreso sulla relazione uomo-donna dal rapporto tra i genitori, o tra i nonni o altre coppie significative ( a complicare le cose spesso accade che vediamo un genitore attraverso gli occhi dell’altro genitore).  Cosa ci hanno trasmesso la scuola e altre agenzie educative?  Cosa abbiamo appreso dai media, oggi sempre più pervasivi, dai libri e dai film che abbiamo visto?

Gli stereotipi determinano non solo quello che può essere considerato normale oppure deviante, ma  portano anche a pensare che le donne in quanto categoria e gli uomini in quanto tali abbiano “per natura” determinati tratti del carattere, certe attitudini e così via. Si tende così a vedersi in quanto uomini o donne, ed a vedere l’altro sesso, attraverso questi schemi di pensiero precostituiti, senza riconoscere la loro storicità, e senza collegarli alle specifiche esperienze relazionali, culturali e sociali da cui discendono.

 

DALLE RAPPRESENTAZIONI STEREOTIPATE ALLA VALORIZZAZIONE DELLE DIFFERENZE

La scoperta delle differenze è un aspetto importante del processo evolutivo e di umanizzazione. L’aspetto critico è che spesso le differenze vengono trasformate in giudizio di minor valore, mentre è importante riconoscerle e valorizzarle come componente necessaria della vita relazionale e della generatività.

In particolare nelle relazioni tra uomini e donne è fondamentale distinguere tra il riconoscimento delle differenze e gli stereotipi di genere. Contrariamente alla generalizzazione acritica degli stereotipi, il riconoscimento delle differenze non comporta una gerarchia di valori, ma piuttosto la valorizzazione delle sfumature, dei tanti diversi modi di interpretare il maschile ed il femminile, da cui deriva una vasta gamma di possibilità di relazionalità, e il loro essere qualcosa di mai fissato una volta per tutte.

 

 

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