Genitori in gruppo
di Velia Bianchi Ranci
1. Il mio bambino ha un problema
Tutti i terapeuti infantili sanno quanto è difficile aiutare i genitori ad accettare la psicoterapia per il figlio. Perché è difficile, più in generale, per un genitore, accettare che il proprio figlio manifesti qualche aspetto di inadeguatezza.
"Ogni volta che un bambino è in difficoltà, di qualsiasi grado sia questa difficoltà, la capacità genitoriale è minacciata” – dice Trudy Klauber (1998) . Si genera nei genitori incertezza ed ansietà, che si rimanda al bambino, in una spirale discendente che peggiora sempre più la situazione.
Quando poi il problema riguarda la salute mentale del bambino questa dinamica è ancora più potente, per la paura inconscia di averlo danneggiato, e il senso di colpa che ne deriva. L'indicazione ad una psicoterapia può essere letta dai genitori come la conferma di questo danno e della loro colpa, prima che come un aiuto al loro bambino.
I genitori di questi bambini hanno quindi sempre bisogno di essere aiutati, prima di tutto a recuperare fiducia nella loro capacità genitoriale.
Alcuni autori hanno chiamato questo aiuto, nelle diverse forme in cui può essere offerto, psicoterapia della genitorialità. Non del genitore (che non chiede aiuto per sé, ma per il figlio), ma della capacità genitoriale.
Nella nostra cultura, così centrata sulla famiglia nucleare, il genitore sente di essere l’unico ad avere la responsabilità, ma anche il potere di aiutare un figlio in difficoltà a superare gli ostacoli che la crescita gli pone, il solo a poterlo aiutare a vivere più serenamente, a trovare il suo posto nel mondo.
La domanda quindi che ci si sente porre alla fine della consultazione è “Che cosa posso fare per mio figlio?”, o “Come devo comportarmi?” E "Dove ho/abbiamo sbagliato"?
Quest’ultimo timore è stato forse anche rafforzato dal diffondersi delle teorie psicanalitiche, che hanno mostrato ai genitori l'impatto dei loro vissuti e dei loro atteggiamenti educativi sulla formazione della personalità del bambino.
Di conseguenza è difficile far accettare l'idea di affidare il figlio stesso al terapeuta, perchè questi viene sentito come il genitore migliore, che il genitore naturale non ha saputo essere, e suscita sentimenti di inadeguatezza, rabbia, invidia, ecc. che il genitore può non essere in grado di affrontare senza aiuto.
L’impatto di questi sentimenti negativi può essere attenuato, almeno inizialmente, se si propone ai genitori di far fare al loro bambino un'esperienza formativa insieme ad altri bambini, come una psicoterapia di gruppo, un gruppo di psicomotricità, un gruppo psicoeducativo….
Infatti questo significa da un lato proporre un’esperienza di distacco più simile a quelle già vissute con l’inizio della carriera scolastica del figlio, quindi più facile da comprendere ed accettare, dall’altro attenuare la conflittualità terapeuta-genitore, in quanto il rapporto gruppale non ripropone un modello genitore- figlio, che può facilmente essere vissuto come competitivo rispetto a quello familiare.
Mettere il bambino in un gruppo può quindi facilitare il distacco.
In questo caso è certamente di grande aiuto affiancare al gruppo dei bambini un gruppo con i genitori.
Ma più in generale, il gruppo di genitori può essere un valido strumento di aiuto alla genitorialità quando, come detto sopra, il bambino, oltre che della cura che gli possono offrire i genitori, ha bisogno di terapie specialistiche.
2. Il gruppo di genitori
Attualmente, nei servizi di cura per l’infanzia è abbastanza comune il progetto di offrire uno spazio di gruppo ai genitori dei bambini presi in carico all’interno dell’istituzione.
Al di là delle motivazioni specifiche per le quali si decide di mettere in opera questo intervento, che possono essere diverse nei diversi contesti istituzionali, mi pare che ci sia sempre al fondo da parte dell’istituzione da un lato un’offerta, dall’altro una richiesta: un’offerta di aiuto in una situazione che si riconosce difficile per un genitore, e una richiesta di collaborare con lo specialista per il miglior risultato della cura.
Sia l’una che l’altra costituiscono obiettivi importanti da tener sempre presenti entrambi nel lavoro del gruppo: devono essere perseguiti insieme, in un buon equilibrio, perché si possano sostenere reciprocamente.
E’ importante sottolineare questa necessità, perché spesso noi operatori, consapevoli dei bisogni poco ascoltati dei bambini, e dell’importanza dell’intervento dei genitori per soddisfarli, tendiamo a privilegiare la richiesta ai genitori di sforzi ulteriori in questa direzione, senza dare loro un sufficiente riconoscimento di quelli che già stanno facendo, provocando così sentimenti di frustrazione, rabbia, oppositività, che interferiscono negativamente col lavoro del gruppo. .
Il conduttore deve porsi quindi prima di tutto all’ascolto dei bisogni dei genitori di essere compresi e riconosciuti nelle difficoltà che il loro compito comporta, piuttosto che gravarli di ulteriori richieste. Il gruppo diventerà allora un luogo in cui sono accolti e messi in comune i sentimenti dolorosi e scomodi, ma in cui è anche riconosciuto e valorizzato il loro affetto per i figli e il desiderio di aiutarli. Pensiamo che se i membri del gruppo, identificandosi con l’atteggiamento del conduttore, si metteranno in un’ottica di ascolto reciproco, potranno accogliere e mettere in comune vissuti ed esperienze diversi, ed elaborarli insieme. In questo modo saranno loro a suggerirsi reciprocamente le vie da percorrere per trovare un modo migliore di stare con i loro figli, di capirli, di aiutarli.
I consigli offerti dai membri del gruppo, che non hanno il carattere superegoico di quelli che vengono dal conduttore, sono accolti in modo meno ambivalente.
3. I genitori non sono tutti uguali
Genitori “sufficientemente buoni” possono utilizzare il gruppo come supporto educativo, discutendo tra loro e col conduttore gli atteggiamenti problematici dei figli, o i problemi col partner riguardo a questi. Rimangono cioè abbastanza facilmente gruppi centrati sul bambino. Spesso dagli altri genitori viene un aiuto a vedere il proprio figlio con altri occhi, e sempre la discussione con gli altri genitori aiuta a tollerare meglio certi aspetti difficili della terapia del figlio, come per esempio, il rifiuto dei bambini a parlare in casa di ciò che avviene in seduta. Spesso la frustrazione dei genitori di fronte a questo sentirsi esclusi sarebbe intollerabile se non potesse essere condivisa.
Bisogna tener presente che i genitori dei bambini in terapia non sono stati messi in gruppo per una loro patologia: al contrario, questo tipo di gruppo fa appello alle loro parti sane, si appoggia su una funzione genitoriale che si suppone esistente e desiderosa di esprimersi. Il gruppo è appunto un mezzo che viene loro dato a questo scopo.
La maggior parte dei genitori accetta facilmente di partecipare al gruppo, anche se con motivazioni diverse.
Alcuni hanno grandi aspettative, e richiedono una grande attenzione ai loro bisogni, altri vengono apparentemente per curiosità. Per tutti ci vorrà un po’di tempo per permettere di entrare nello spirito del lavoro.
Il conduttore dovrà naturalmente tener conto delle caratteristiche dei singoli, delle loro risorse e dei loro bisogni specifici, ma cercherà di far emergere, soprattutto agli inizi, gli aspetti che li accomunano, quelli che li hanno portati ad essere lì, in modo da facilitare il riconoscimento reciproco e la fiducia di poter essere compresi.
Riteniamo che la gran parte dei genitori che si riuniscono in gruppo per essere aiutati ad aiutare i loro figli traggano profitto dal gruppo che abbiamo chiamato di accompagnamento. Un gruppo cioè che non si propone fini terapeutici, e i cui membri sono scelti non in funzione di caratteristiche individuali, ma delle difficoltà nell’accudimento dei figli.
Il gruppo di accompagnamento non esclude altri tipi di intervento di cui i partecipanti possono aver bisogno, come una terapia individuale o di coppia, ma anzi può essere il luogo dove queste altre necessità emergono e sono discusse e capite meglio.
Klauber, T. “The significance of trauma in work with the parents of severely disturbed children and its implications for work with parents in general” Journal of Child Psychotherapy, 1° 1998.
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