Workshop “per restare umani”: riflessioni sul lavoro del gruppo

di Velia Bianchi Ranci

L’attesa di incontrare un gruppo nuovo è sempre carica di pensieri , emozioni e interrogativi che  sono quelli che poi orienteranno l’esperienza nel suo svolgersi.

Questo vale per tutti i partecipanti, ognuno a suo modo, e vale naturalmente anche per chi si assume il ruolo di accompagnare il gruppo nel suo  percorso. 

Quando ho incominciato a pensare all’incontro di gruppo offerto da Espèira con l’obiettivo di provare a riflettere sulla situazione sociale in cui siamo immersi, partendo dai nostri vissuti e dalle nostre paure, il mio primo pensiero/preoccupazione è stato quello di non avere tempo. Il  tempo a disposizione mi sembrava poco, pochissimo per la gravità della situazione che stiamo vivendo e dei problemi che siamo chiamati ad affrontare!

Sentivo il tema proposto come un grosso peso che ci veniva messo sulle spalle.

Questo era il pensiero fatto da me in solitudine; ma quando ci siamo  riuniti e ho sentito il gruppo deciso a condividere questo peso e a dargli un senso, la preoccupazione ha lasciato il posto alla fiducia per un lavoro insieme.

A partire dall’introduzione di Giovanna Bosco ognuno ha messo a disposizione di tutti le proprie esperienze in modo molto concreto, cosa che ha reso possibile una condivisione semplice e profonda, a partire dalla comune fisicità.

Ci siamo resi conto di quanto contano le sensazioni fisiche nel sentimento di estraneità e di disagio suscitato dall’incontro con l’estraneo.  

Da questo si sono potuti mettere in comune i ricordi di situazioni in cui eravamo noi gli estranei e suscitavamo sensazioni simili nei nostri vicini.

Esattamente a livello della fisicità: puzza/profumo, sporco/pulito sono le prime categorie in base alle quali siamo avvicinati o allontanati.

L’aspetto importante del lavoro nella prima parte del gruppo è stato quello di potersi sentire un po’più simili nella comune umanità, e anche un po’ nelle paure: paure dell’emarginazione, paura della povertà che in questi anni ha toccato tanti anche a noi vicini.

Nella seconda parte, in cui abbiamo portato uno sguardo più specifico sulle richieste di aiuto che ci venivano fatte, mi pare siano prevalsi vissuti di impotenza difficili da superare. Come dice una dei partecipanti: “…poter dire alcune paure e pregiudizi che abbiamo tutti noi è molto rassicurante, almeno, per me. Non permettere a noi stessi di esserne preda nel quotidiano è più difficile” ma – prosegue – “penso che iniziare a dire a sé stessi e ad altri questo sia il primo passo per esserne consapevoli..”

Mi è parso che alla fine ognuno, con un sospiro, si riprendesse il pesante fardello iniziale che, messo in comune, si era potuto meglio comprendere e tollerare.

Un po’ come tornare a nuotare sott’acqua; nel gruppo è si è potuto tirar fuori la testa dall’acqua per un poco.

Credo sia necessario farlo spesso, per respirare e per mantenere la direzione.

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