Psicoterapia gruppoanalitica del trauma (1° parte)

di Werner Knauss

Pubblichiamo qui la prima parte di un articolo, scritto in inglese, ricevuto da Werner Knauss, già Presidente della Group Analytic Society (International),  

La seconda parte verrà pubblicata dopo l'estate 

La traduzione del testo è di Giovanna Bosco

 

 

1.  La Darkroom

In una performance di danza dal titolo“the Darkroom” (N.d.T.: “camera oscura” per sviluppare le pellicole, ma anche stanza oscurata di certi club privè dove si svolgono pratiche sessuali trasgressive) il protagonista assume il ruolo dello spettatore che osserva standosene in disparte. Egli desidera entrare in un gruppo di ragazzi che “vanno forte” ed è gradatamente attirato in una banda di giovani che hanno sviluppato un terribile rituale per il week-end. Con l’ausilio delle droghe e dell’alcol seducono gruppi di giovani donne in una Darkroom poi obbligano le donne ad avere rapporti sessuali con ciascuno di loro.

Pian piano il protagonista lascia la posizione dell’osservatore e viene attirato dentro il gruppo. Egli viene attaccato fisicamente, sminuito e umiliato perché è innamorato di una ragazza straniera, che viene dall’Inghilterra. Lentamente, entra in un rapporto di collusione con la banda. Infine assume il ruolo del cameraman e riprende le scene, che saranno poi vendute.

Questa performance riesce efficacemente a far sì che il pubblico assuma il ruolo, con cui la maggior parte degli spettatori si identifica, di chi osserva, stando in disparte, le terribili scene traumatiche che vengono sperimentate sulla scena e che hanno luogo tra la gang dei ragazzi e il gruppo delle ragazze. Tutti sono traumatizzati: gli autori delle violenze, le vittime e, indirettamente, il pubblico.

Durante la discussione che si svolge al termine della performance emerge chiaramente che il pubblico oscilla tra due posizioni: la rabbia suscitata dalle scene traumatiche: “perché sono costretto a guardare queste cose?” e la dissociazione espressa sotto forma di negazione: “tutto questo non ha nessun senso”. Alla fine sono sconvolti da ciò che hanno visto. Si identificano con gli autori delle violenze e con le vittime, soffrendo di controllo onnipotente, terribile ansia, impotenza e speranza che tutto ciò finisca e che i responsabili siano puniti.

E’ questo il nostro ruolo in un gruppo analitico quando uno dei pazienti descrive un trauma che ha provato. Quali sono le precondizioni per elaborare le esperienze traumatiche individuali e collettive? Quale potrebbe essere il compito di un gruppoanalista nel creare una situazione gruppoanalitica intesa come spazio sicuro in cui il trauma possa essere ricordato, descritto in ogni dettaglio ed elaborato?

 

2. Definizione di Trauma

Trauma è un termine di natura relazionale. Si verifica all’interno di gruppi – reali o fantasmatici – ma è sempre sperimentato individualmente e, per la maggior parte del tempo, comporta un’esperienza molto dolorosa  sul piano fisico da parte dell’individuo. Chiamiamo “traumatica” un’esperienza in cui la vita è minacciata, oppure una perdita improvvisa accompagnata dalla paura dell’annientamento e/o dal totale e improvviso crollo delle aspettative di ricevere empatia dagli altri (Adelheid Müller e Werner Knauss). Quando questa esperienza non é verbalizzata, mentalizzata, simbolizzata ed elaborata, viene trasmessa da una generazione all’altra: die Lebendigkeit des Totgeschwiegenen, la persistenza di ciò che è stato ridotto al silenzio (Helmut Lüdecke). L’esperienza traumatica, se non se ne parla, se non é verbalizzata, continua nella vita inconscia della generazione seguente (Volkan e Wilke). Essa appare alla superficie in diverse formazioni sintomatiche come: disturbi post-traumatici della fiducia, disturbi borderline della personalità, autolesionismo, tentativi di suicidio, disordini alimentari, e l’incapacità di dar vita a relazioni soddisfacenti per la paura di riprodurre l’esperienza traumatica come se fosse avvenuta ieri (collasso temporale). Sono questi risultati sul piano individuale delle esperienze relazionali di gruppo a portare i pazienti ad entrare nei nostri gruppi. Come possiamo accedere alle esperienze traumatiche inconsce, negate e trasformate in sintomi?

 

3. Quali sono i vantaggi di una Situazione Gruppoanalitica per i pazienti che hanno subito un Trauma?

3.1   Mark

Mark, un giovane trentenne di bell’aspetto, entrò quattro anni fa in un gruppo “slow-open” (dove il ricambio tra i membri avviene molto lentamente), che si incontra due volte alla settimana nel mio studio. Egli aveva descritto i suoi sintomi come una paura indicibile che sorge in lui ogni volta che entra in un nuovo gruppo, a scuola, nel lavoro, e così via. E’ convinto che nessuno possa comprendere la sua paura. Definendo la sua condizione come “fobia sociale” è stato possibile ottenere che le spese del suo trattamento siano sostenute dalla compagnia di assicurazione. Mark è un immigrato di seconda generazione (la sua famiglia proviene da un paese dell’Europa del Sud). E’ nato in Germania e poco dopo la nascita i suoi genitori l’hanno affidato ai nonni, poiché entrambi lavoravano in fabbrica. In una delle prima sessioni di gruppo ricordò un’esperienza di gruppo molto traumatica: all’età di tre anni piangeva disperatamente chiedendo aiuto ogni mattina quando sua madre lo portava all’asilo. Non voleva restare là. Solo un anno fa ha ricordato una frase che sua madre gli ripeteva ogni mattina: “maledetto il giorno che sei nato” ed ha pianto a lungo amaramente. All’asilo egli poco alla volta accettò la situazione, si isolò, e si trovò in un gruppo di pari in cui non poteva comprendere ciò che dicevano perché a casa sua tutti parlavano Italiano.  I membri di lingua tedesca del gruppo-asilo lo deridevano e lo escludevano dai loro giochi.  Tentò di ribellarsi ma i suoi genitori non potevano far altro che lasciarlo là piangente ogni mattina.

Egli poté associare le sue paure con la situazione vissuta all’asilo, con quella paura di essere sconfitto: l’angoscia dell’annientamento. Ma non poté associare la sua paura con accadimenti più precoci, risalenti al tempo in cui sua madre l’aveva lasciato con i nonni, che erano severi, punitivi e privi di empatia. A causa del suo ritiro depressivo ed autistico, che non poteva verbalizzare e che non fu compreso né all’asilo né dalla sua famiglia, lentamente cominciò a sentirsi un outsider. Diventò silenzioso in entrambi i gruppi: quello tedesco e quello italiano. Tuttavia non mollò. Cercò di imparare il tedesco il più rapidamente possibile. Oggi lo parla con scioltezza e senza alcun accento italiano. In ciò si differenzia dai suoi genitori, che sono tuttora incapaci di parlare bene il tedesco. Egli ricordò che i nonni, con cui aveva passato i primi tre anni di vita, erano freddi, rigidi e punitivi. Quando gli tornarono in mente le parole della madre: “Maledetto il giorno in cui sei nato” poté piangere amaramente. E quando il gruppo gli chiese cosa provava, rispose: “un dolore insopportabile”.

Ebbe un crollo psichico quando dovette lasciare la sua famiglia e la scuola e iniziò a frequentare l’università e di conseguenza perse alcune delle situazioni di gruppo da cui riceveva ‘holding’ e contenimento. Mark provò varie forme di psicoterapia ma sentiva che nessuno poteva capire il suo panico quando una paura indicibile si impadroniva di lui. Confidò questo vissuto in un gruppo, che risuonò in modo singolare, perché non poteva comprenderlo: egli era considerato un uomo che parlava tedesco perfettamente, molto intelligente, sicuro di sé e di bell’aspetto, il che era una sottile rimessa in scena della sua paura che nessuno potesse comprenderlo. Abbandonò l’università e, allo stesso tempo in cui iniziò la psicoterapia gruppoanalitica, iniziò un apprendistato come venditore di strumenti musicali: un’occupazione molto al di sotto delle sue capacità intellettuali.

A causa della sequenza di eventi traumatici Mark ha continuato a riattivare la distanza incolmabile tra la sua famiglia e il gruppo di pari tedesco. Ha cercato di adattarsi alle norme di vita tedesche e alla lingua tedesca, ma ha perso l’attaccamento al gruppo italiano e non è mai riuscito a creare dentro di sé alcun sentimento di appartenenza o un attaccamento sicuro a qualsiasi gruppo. Per Mark è stato pressoché impossibile realizzare qualsiasi relazione intima sia con degli amici che con delle ragazze. Si è limitato ad avere anonime relazioni sessuali attraverso Internet. Quando occasionalmente si è innamorato le ragazze lo hanno lasciato ripetutamente dopo alcuni mesi perché cercava di controllare i loro movimenti e diventava terribilmente geloso.

Nel gruppo ha elaborato la sua separazione dal gruppo famigliare dell’Italia del Sud e la sua paura di essere deriso dai gruppi tedeschi, e ha ripreso a comunicare con i suoi genitori, ma questo non ha modificato la sua paura di fondo di essere annientato ogni volta che qualcuno scherzava o egli pensava che qualcuno ridesse di lui o lo criticasse. A volte andava su tutte le furie, specialmente quando un altro membro del gruppo che aveva attraversato vicissitudini di gruppo analoghe alle sue all’asilo tentò di fermarlo. Mark gridava: “Non mi lascerò più bloccare di nuovo” Gridava così forte che i miei colleghi di studio erano in ansia perché temevano che la mia vita fosse in pericolo. Nella sessione seguente il membro del gruppo che era stato attaccato si mise a sua volta a gridare contro di lui, e questo fu un grande sollievo per Mark poiché entrambi sentirono che i loro contenuti affettivi grezzi erano contenuti dal gruppo ed erano collocati nel contesto dei loro traumi infantili. Questa riattualizzazione dei traumi di entrambi i pazienti poté essere discussa da vari punti di vista dai membri del gruppo. Fu un grosso passo avanti sia per Mark che per il gruppo, che poterono sperimentare il fatto che il gruppo era in grado di contenere e reggere contenuti affettivi molto forti, metabolizzandoli, mentalizzandoli e contestualizzandoli secondo i diversi significati dei contenuti affettivi che venivano rimandati attraverso il rispecchiamento dai diversi membri del gruppo. Il processo di mentalizzazione era iniziato. Tuttavia, non eravamo ancora in grado di elaborare davvero il precoce evento traumatico subito da Mark quando fu abbandonato da sua madre all’età di cinque mesi e portato dai suoi nonni.

3.2    L’elaborazione del Trauma nella Situazione gruppoanalitica

I membri di un gruppo che hanno subito dei traumi non possono avere a che fare con differenti punti di vista. Si chiudono in una modalità di sopravvivenza che consente una sola – e per lo più molto privata – interpretazione della situazione di gruppo. Cercano di trascinare il gruppo negli stati regressivi contrassegnati da sensazioni di pericolo, chiamati ‘assunti di base’. Tre di questi sono stati descritti da Bion e uno da Hopper.  Questi sono fenomeni regressivi che agiscono come difesa dalla paura dell’annientamento, e mettono fine alla coesione di gruppo. Il gruppo oscilla, come descrive Hopper, tra la massificazione e l’aggregazione (Earl Hopper, Traumatic experiences in the unconscious life of groups, 2003; Jessica Kingsley Publishers, New York). I pazienti che hanno avuto esperienze traumatiche mettono il gruppo di fronte a affetti molti forti come odio, distruzione, terrore indicibile, panico, e il desiderio incolmabile di fondersi e di distruggere ogni differenza. In questo contesto l’invidia può essere compresa come una forza che mira a distruggere le differenze diventando tutti la stessa cosa: una massa. Attraverso la rivalità distruttiva, il sottogruppo invidioso vuole diventare la stessa cosa, oppure vuole distruggere ciò che gli altri hanno e ad essi manca.  Un trauma non verbalizzato e non mentalizzato viene sperimentato come un divario incolmabile tra il paziente traumatizzato e gli altri. Per effetto dell’esperienza traumatica, le esperienze internalizzate di holding e di contenimento gruppale vengono scisse, scompensate e distrutte. Il gruppo internalizzato diventa insicuro e minaccioso.  Come gruppoanalisti comprendiamo la struttura intrapsichica come un processo di differenziazione che si sviluppa attraverso l’internalizzazione di varie e crescenti  esperienze supportive di gruppo,  o – nel caso di pazienti che hanno subito dei traumi – attraverso esperienze traumatiche di gruppo.  L’interazione inconscia del gruppo interno di ciascun individuo può essere descritta come un continuo processo di comunicazione. Le forze centripete mirano allo sviluppo di attaccamenti sicuri alle figure significative. Le forze centrifughe mirano alla differenziazione dagli altri. Ogni individuo ha il compito di trovare, in ogni singola situazione di vita, un nuovo equilibrio tra queste due forze. Il gruppo e l’individuo sono collegati dalla matrice di gruppo interiorizzata all’interno di ciascun soggetto e sono visti come processi in costante interazione. Attraverso l’internalizzazione di esperienze di gruppo traumatiche, questo equilibrio viene disturbato dalle fondamenta. L’attaccamento diventa insicuro e la differenziazione dagli altri crolla. Quando l’esperienza traumatica viene in primo piano attraverso la formazione dei sintomi, gli agiti, gli attacchi al setting o la pseudo-conformità, le regole inconsciamente co-costruite funzionano come una difesa contro l’emersione del ricordo di ogni dettaglio del trauma. Unificando i fenomeni regressivi attraverso la formazione degli assunti di base il gruppo tenta di evitare di affrontare la paura dell’annientamento, che aveva caratterizzato l’esperienza traumatica.

Il compito del conduttore di gruppo è quello di creare una cultura di gruppo non-moralistica (Hirsch 2008), in cui ogni associazione, ogni affetto possano essere benvenuti e contenuti, metabolizzati e mentalizzati, cosicché il gruppo possa utilizzare la comprensione delle deviazioni di ciascun individuo dalle proprie regole inconsce come una forza evolutiva (Basic law of Group Analysis, Brown, 1998). Solo esperienze di gruppo di questo tipo permettono lo sviluppo di una matrice di gruppo internalizzata in cui sia possibile godere della possibilità di giocare internamente, in modo sempre più cosciente, con diversi significati, superando così il senso di vulnerabilità ed impotenza sperimentati nel trauma.

3.3    Tornando a Mark

In una delle ultime sessioni, Mark mise il gruppo di fronte alla sua decisione di lasciare il gruppo stesso, e nessuno sembrava in grado di fermarlo. Disse che era colpa sua se non riusciva a superare la sua paura dell’annientamento quando qualcuno rideva di lui o lo criticava. L’idea che questo potesse essere collegato all’abbandono da parte di sua madre, quando era stato portato dai nonni, non lo aiutava affatto. Il gruppo fu scioccato e provò ad usare vari argomenti convincenti per persuaderlo a rimanere, ma niente lo smosse.  Solo quando un altro paziente che aveva subito un trauma – aveva perso suo padre in un incidente quando aveva tre anni – si arrabbiò e gli disse che avrebbe potuto schiaffeggiarlo perché si sentiva improvvisamente abbandonato da lui e trattato come lui era stato trattato da sua madre – solo allora questo duro confronto poté mettere in moto una fase di riflessione. Nella seduta seguente Mark disse che aveva ritrovato la speranza e che sarebbe rimasto nel gruppo.

 

4. Quali sono i rischi?

Nel trattamento gruppoanalitico dei pazienti che hanno subito dei traumi le interpretazioni non sono di grande aiuto. Nel caso di Mark, solo l’incontro-scontro con contenuti affettivi intensi e la loro metabolizzazione attraverso la comunicazione di gruppo mise in movimento un processo di riflessione e di insight. I diversi punti di vista dei diversi membri del gruppo lo aiutarono a metabolizzare e a comprendere lentamente il significato che avevano quegli affetti intensi nel contesto delle esperienze traumatiche del passato.  Il collasso temporale poté essere riparato, tornando a distinguere tra passato, presente e futuro. Nell’esperienza  traumatica era  come se il tempo fosse svanito, e tutto fosse accaduto ieri o persino oggi.

I rischi sono la dissociazione dei contenuti affettivi intensi poiché essi appaiono incontenibili e insostenibili. Pertanto, come conduttori di gruppo, dobbiamo conservare il coraggio e la fiducia che questi affetti possano essere contenuti nel gruppo, possano essere compresi, contestualizzati ed elaborati. I differenti punti di vista danno al gruppo la capacità di giocare con le diverse realtà perché i diversi modi di empatizzare con l’esperienza traumatica introducono nella comunicazione un diverso modo di percepire la realtà. Questo potrebbe aiutare il paziente traumatizzato ad identificarsi non solo con questi diversi punti di vista ma anche con la capacità riflessiva del gruppo. Queste esperienze sono possibili solo in una situazione gruppoanalitica.

Il secondo rischio è quello della riedizione del trauma quando dei moti affettivi intensi scatenano le esperienze traumatiche di altri pazienti. In questo caso il conduttore deve diventare molto attivo al fine di riportare il gruppo in uno spazio sicuro, che controbilanci l’angoscia dell’annientamento. Egli, o lei, debbono mantenere la speranza che non c’è nessun trauma che non possa essere verbalizzato e mentalizzato. ‘Il bambino impara a conoscere la mente di coloro che si prendono cura di lui e questi si sforzano di comprendere e contenere lo stato mentale del bambino (Fonagy 2000, S.1132, cit. in Hirsch, S.36). Le precondizioni per la mentalizzazione delle esperienze traumatiche sono: risonanza, rispecchiamento, ‘holding’, e una matrice dinamica di gruppo capace di contenimento. Le rappresentazioni riflessive di Sé, che integrano le esperienze traumatiche, ora  mentalizzate e verbalizzabili, aiutano l’ego ad avere il controllo dei propri affetti e pensieri, che fino ad ora erano insostenibili. La capacità di pensare l’impensabile e di parlare dell’indicibile possono svilupparsi. Questi rischi debbono essere tenuti in considerazione soprattutto dal conduttore di gruppo che ha come compito principale il contenimento del gruppo come spazio sicuro.

 

 5. Terrorismo e fondamentalismo: sintomi dei Traumi dei grandi gruppi

Le formazioni sintomatiche osservata da Volkan nei piccoli gruppi terroristici sono la perdita dell’individualità, la sottomissione ad un leader, la perdita di fiducia, la scissione tra bene e male, un sistema fondamentalista di credenze, con alta moralità, ansia paranoica, offuscamento della realtà, focalizzazione sulle esperienze traumatiche passate o previste, accompagnati dal collasso temporale e dalla deumanizzazione dei gruppi nemici. Questa è una chiara descrizione di come i pazienti che hanno subito dei traumi vivono le situazioni di gruppo e di come cercano di modellarle. Pertanto, Volkan propone la formazione di piccoli gruppi contenenti importanti membri dei sottogruppi in conflitto, come ad esempio Palestinesi ed Israeliani, Tedeschi ed Ebrei o carnefici e vittime. Per quanto io posso capire, i piccoli gruppi terroristici sono formazioni sintomatiche dei grandi gruppi traumatizzati. Questo può essere compreso solamente attraverso una situazione di gruppo in cui ciascun punto di vista è benvenuto e riconosciuto come forza creativa per l’intero gruppo.  Lord Alderdice (2008), nel suo intervento al Simposio Europeo di Gruppoanalisi tenuto quest’anno a Dublino, “Desiderio, morte e dialogo – occuparsi del terrorismo”, descrisse il processo di pace riguardante l’Irlanda del Nord come uno scenario di analisi di grande gruppo. Confini, regole e diritti forniscono un contesto per i conflitti interni ed esterni – che possono essere fermati. Ma solo una nuova cultura di mutuo rispetto può prevenire il ritorno del conflitto. Secondo Lord Alderdice il segreto del successo fu il rispetto dei diversi punti di vista nel processo di pace irlandese e il coinvolgimento di tutti i diversi sottogruppi nel processo. In breve, il successo è riconducibile ad un’attitudine gruppoanalitica, che era predominante nel gruppo di negoziazione.

Quando ero un adolescente di 14 anni, vidi il documentario Mein Kampf, così chiamato dal titolo del libro di Hitler. Sono nato l’8 maggio 1946, esattamente un anno dopo la liberazione dal regime nazista. Solo all’età di 14 anni divenni cosciente delle crudeltà della Germania nazista, benché i miei genitori, che non erano mai entrati nel partito nazista, ne parlassero apertamente. Io negavo l’accaduto. Solo dopo aver visto montagne di Ebrei uccisi: vecchi, persone di mezza età, bambini; e montagne di capelli recisi, denti d’oro rotti e milioni di persone allineate in attesa di entrare nelle camere a gas ed essere poi incenerite, divenni pienamente cosciente di queste crudeltà.  Incominciai a parlarne con i miei compagni. Questo fu l’inizio della mia politicizzazione. Attraverso questo impatto con le crudeltà perpetrate dai tedeschi, la mia identificazione cosciente con le vittime dei Nazisti fu presto seguita dalla crescente consapevolezza che io facevo parte del grande gruppo dei Tedeschi. Sentimenti di colpa e di vergogna affiorarono in me. Nonostante il fatto che la mia famiglia non avesse mai aderito al Nazismo e che io non fossi personalmente coinvolto, mi sentivo responsabile per ciò che era stato compiuto dalla precedente generazione di tedeschi.   Adorno, Horkheimer e Fromm avevano analizzato tutto questo empiricamente nella loro ricerca sulla Personalità autoritaria e sui Prerequisiti Psicosociali dei seguaci del Nazismo. Da studente, iniziai il mio training gruppoanalitico con un’emigrante ebrea, Ilse Seglow, che aveva dovuto lasciare Francoforte nel 1932, come Foulkes. Essi si incontrarono a Parigi e andarono insieme a Londra, incontrarono Norbert Elias, un altro emigrante che entrambi conoscevano in quanto collega di Karl Mannheim, un sociologo che insegnava all’Università di Heidelberg. Con altri colleghi essi costituirono nel 1952 a Londra la Società di Gruppoanalisi, che promuove un approccio democratico di gruppo al loro background, rappresentato dalle esperienze avute nella Germania nazista. Il fatto che io sia andato a Londra per essere formato da un’analista di gruppo che era un’ebrea rifugiata aveva a che fare con la mia sfiducia verso la generazione che mi aveva preceduto. Fin dall’inizio la mia esperienza analitica fu principalmente un’aspirazione ad una cultura di gruppo democratica con libertà di parola tra eguali, con tolleranza dei diversi punti di vista, che includesse l’analisi del potere, della colpa, della vergogna e delle dipendenze infantili. La relazione Tedeschi-Ebrei veniva continuamente elaborata attraverso la mia esperienza di piccolo gruppo e nei larghi gruppi dei Convegni europei di Gruppoanalisi. In seguito, come Presidente non inglese e non ebreo ma tedesco della Group Analytic Society, dopo 47 anni in cui c’erano stati solo Presidenti inglesi, fui oggetto di un sacco di proiezioni da parte di alcuni anziani colleghi ebrei. Fui attaccato come nazista, dittatore, censore, e così via, e mi fu possibile sopravvivere a tutto ciò solo grazie al sostegno di un gruppo funzionante, il Comitato Esecutivo. Solo quando questi attacchi furono discussi apertamente in un’assemblea annuale fu possibile comprenderli ed essi finirono. Un buon gruppo funzionante in modo democratico permise di elaborare e comprendere il terrore verbale. Con il sostegno di esperienze di piccolo e grande gruppo potei superare il mio stesso trauma derivante dall’essere un membro del grande gruppo tedesco, gravato da un’enorme colpa e vergogna. Le situazioni di gruppo più efficaci per elaborare questi traumi sono quelle in cui vittime e carnefici, sia di prima che si seconda generazione, sono presenti nello stesso gruppo.

(fine della 1° parte. La seconda parte dell’articolo sarà pubblicata dopo l’estate)

4 commenti a Psicoterapia gruppoanalitica del trauma (1° parte)

  • avatar
    Jaime Ondarza Linares scrive:

    Con molto piacere rientro nei “ricchi sentieri" che apre la Bosco, nei suoi interventi…”Corpo e voce nell’esperienza psicoanalitica”e dei suoi ultimi… che tanta considerazione suscita negli psicoanalisti. Io come gruppoanalista, che è abituato a lavorare “col gruppo come luogo”, posto e tempo della configurazione, sono molto interessato all’esperienza di “corpo e voce”che cita, con la sua abituale sensibilità, Giovanna Bosco come psicoanalista. Succede però, che accanto alle sue considerazioni Espeira ha pubblicato un articolo di Werner Knauss “Psicoterapia gruppoanalitica del Trauma” (conosco Knauss da quando ingressò giovane alla Group  Analytic Society, fu uno dei promotori dell European Group Analytic Training Institution Network –EGATIN- del quale sono uno dei cofondatori; ebbi il piacere di averlo come collaboratore insieme a Dalal in un Symposium, da me diretto: “The economy of the group  , methapsicological prospective” (12° European Symposium in groupanalisys Bologna, Italia, August 2002). Come tutti i gruppoanalisti “foulkesiani” sappiamo che Werner Knauss fu il primo Presidente “straniero” della Group Analytic Society…andiamo al sodo sarei interessato a condividere alcune mie personali riflessioni sul suo articolo ma preferisco prima aver letto anche la promessa seconda parte del medesimo…quando apparirà…? Nel frattempo mi congratulo sia con Giovanna che con Werner per aver dato ai lettori italiani la possibilità di leggere questo articolo nella nostra lingua…Grazie anticipate.   Jaime Ondarza Linares

  • Giovanna Bosco
    Giovanna Bosco scrive:

    Giustamente  si chiede Ondarza Linares, e forse si saranno chiesti anche altri lettori, quando sarà pubblicata la seconda parte dello scritto di Werner Knauss.

    Il ritardo è dovuto al fatto che, dopoaver  completato nel mese di settembre una prima bozza della traduzione, non ho più avuto la possibilità di rivederla e di darle la veste definitiva a causa di sopraggiunti problemi familiari, e anche di un periodo di mia malattia, ora superato. Finalmente  ho potuto riprendere in mano la traduzione e spero proprio che saremo in grado di pubblicare la seconda e conclusiva parte del testo di Werner Knauss nel giro di pochi giorni.

    A presto.

    Giovanna Bosco

     

  • avatar
    Jaime Ondarza Linares scrive:

    Cara Giovanna,

    temo di essere sembrato troppo esigente…pensavo che era più facile avere la seconda parte in quanto era già stata tradotta dallo stesso Werner…dato che devi affrontare la grossa fatica di tradurlo, mi sembra giusto che ti prenda tutto il tempo necessario…

    sinceri e cari auguri per tutte le tue cose e per il prossimo Natale.

    Jaime Ondarza Linares

     

    • Giovanna Bosco
      Giovanna Bosco scrive:

      Caro Jaime,

      non preoccuparti, non ho sentito la tua domanda come "esigente". E' stata invece per me di incoraggiamento proprio mentre cercavo di ridare spazio, sia pure attraverso il lavoro di traduzione, alla riflessione sui gruppi e sul lavoro gruppoanalitico, e, in un certo senso, riaprirmi al mondo, dopo un periodo in cui  problemi familiari mi avevano fortemente assorbita.

      Del resto, la scelta che avevo fatto già alcuni mesi fa di dedicare del tempo a tradurre  il testo di Werner Knauss per renderlo accessibile ai lettori italiani aveva già un intento di 'apertura': in questo caso allargare il dibattito anche a voci ed esperienze maturate al di fuori dai confini italiani, che per alcuni aspetti possono suonare non del tutto 'familiari' (così sarà, forse, soprattutto per la seconda parte del lavoro di Werner). Certo, tradurre, rispettando il pensiero e le scelte comunicative dell'autore, e, allo stesso tempo, rendere il testo scorrevole secondo i canoni della lingua italiana, non è cosa banale, da fare frettolosamente. Ma sono ormai  quasi alla fine dell'opera.

      Grazie per gli auguri, che ricambio di cuore.

- Copyright -

Il materiale pubblicato in questo sito può essere letto e utilizzato, purchè non a fini di lucro.
Gli articoli, i numeri della Rivista e ogni altra parte riproducibile possono essere utilizzati esclusivamente per fini personali.
In caso di riproduzione, anche di brani limitati o di singole frasi, c'è l'obbligo di citare fonte e autore.