L’interpretazione nella prospettiva gruppoanalitica: il processo di “traslazione”

di Jaime Ondarza Linares

Giovanna Bosco ha voluto essere così gentile da invitarmi a scrivere un articolo in seguito al mio commento apparso su Espeira (11- VII-13) illustrandolo con esempi clinici tratti da un gruppo analitico che conduco nel mio studio.

E’ un gruppo che conduco da circa 10 anni: “slow open” nel setting gruppoanalitico sta ad indicare un gruppo inizialmente formato da 8-9 persone che man mano che finiscono la loro esperienza terapeutica vengono sostituite da nuovi membri. Tale caratteristica richiama essenzialmente il processo del “gruppo famigliare primario”, un po’ aperto alla partenza e all’arrivo di nuovi membri;  essendo tale fenomeno gruppale-esistenziale  (inizio, partenza, anche interruzione) un’esperienza da elaborare del processo terapeutico medesimo… Tornando al nostro gruppo clinico, nel momento presente non rimane alcun membro del gruppo iniziale, tranne me medesimo come terapeuta.  E’ composto attualmente da sette membri di cui riferiremo opportunamente nella seconda parte dell’articolo, esponendo  alcuni particolari clinici e cambiamenti, con particolare riferimento al Processo di Traslazione (Traslation Process) che diciamo ‘tout court’ é l’equivalente gruppoanalitico dell’interpretazione nel processo psicoanalitico duale.

La mia presente esposizione si articola col precedente mio commento fatto alla suggestiva richiesta di Giovanna Bosco, che intitolava “Dal tramonto dei modelli intrapsichici all’orientamento relazionale”, domandandosi cosa è veramente l’interpretazione nella contemporanea psicoterapia  e delineando alla fine un “confronto tra orientamento intrapsichico e orientamento relazionale”.

Sottolineo che personalmente cerco di affrontare l’argomento dalla mia posizione di gruppoanalista, membro della Group Analytic Society fondata da S. H. Foulkes, suo creatore.

Per meglio contestualizzare tale approccio gruppoanalitico ritengo opportuno citare quelli che da anni vengo chiamando “i 10 nodi conflittuali della gruppoanalisi contemporanea”.

- I primi  quattro sono nodi tecnici (epistemologici):
1) “Relatedness”, così chiamata da Foulkes stesso che, diciamolo subito, mentre la considera “la corner stone” del lavoro con i gruppi “non la definisce chiaramente come pulsione in contrasto con la classica Teoria Pulsionale freudiana”, meritando con questo la critica di ‘Conservatore’ di alcuni ‘nipoti’ della Group Analytic Society (Vedi Dalal, 2002)
2) Rete
3) Matrice
4) Inconscio sociale

Gli altri nodi sono metodologici (ermeneutici) e tecnico-clinici
5) L’identità tra Sé Individuale e Sé Sociale
6) La Comunicazione al centro del processo Gruppoanalitico: livelli di Comunicazione
7) Il setting gruppo analitico: struttura, processo, contenuto
8) Ruolo e funzioni del terapeuta (Matrix centred)
9) L’interpretazione gruppoanalitica: il “traslation process” (processo di traslazione o traduzione).
10) Il training del Sé nell’azione (Mi sono permesso di cambiare l’originale dizione foulkesiana “Ego training in action”).

Spero che questa elencazione dei 10 nodi fondamentali della Gruppoanalisi contemporanea sia pertinente per segnalare il punto da cui partiremo nel presente lavoro nell’affrontare il problema dell’interpretazione in gruppo-analisi, in qualche modo attraversando questi nodi (Una trattazione più approfondita sull’argomento la troviamo in alcuni miei scritti: Ondarza Linares J., 1999 e posteriori).

L’interpretazione in gruppoanalisi  (Translation Process, Processo di Traslazione)

Diciamo come premessa (ermeneutica) che l’interpretazione in gruppoanalisi non è un “aut aut” tra modello intrapsichico e modello relazionale, ma un “attraversamento” (“through the group”, attraverso il gruppo) con fini terapeutici:  dei processi consci, preconsci ed inconsci che si mettono in atto tra gli individui che compongono un gruppo; della interazione che tra di essi si configura in modo più  o meno manifesto; di quanto accade nel Gruppo come Sé gruppale (il gruppo “as a whole” degli AA. Americani o The Group Self di Kohut).

Considerato il gruppo come “campo” di interazione (Lewin 1951,  Bion 1972), “il traslation process” si compie grazie a diversi fattori e attraversa diverse fasi. Molto schematicamente e rischiando di apparire  didascalico menzioniamoli:  

a)La Comunicazione è al Centro del processo gruppoanalitico. Sottolineiamo che tale affermazione comporta non solo un cambiamento metodologico ma una mutazione epistemologica; l’interpretazione non è più o non solo la ricerca dell’insight, consapevolezza o esperienza sublimata di forze o pulsioni psicodinamiche che orizzontalmente o verticalmente attraversano le “Topiche freudiane”.  Nel gruppo analitico il translation process è  ricerca di consapevolezza di un nuovo significato in una nuova matrice di identificazione e comunicazione (Ondarza Linares, 1999).

E’ importante ricordare che nel gruppo analitico  Foulkes segnala che la comunicazione attraversa come una spirale ascendente-discendente 5 livelli topodinamici e gerarchicamente in interazione dalla superficie “al fondo”: 1° livello corrente, transfert in senso ampio “tr”. 2° livello transferale “TR”, transfert propriamente detto. 3° livello proiettivo. 4° livello somatopsichico. 5°livello primordiale (Inconscio collettivo). Foulkes stesso abbina questi livelli allo sviluppo epigenetico che Erikson (1965) assegna allo sviluppo dell’identità del bambino (Autocosmo-microsfera, macrosfera). In diversi lavori ho sottolineato l’importanza clinico teorico-metodologica che suggerisce una trasformazione del “bambino perverso polimorfo” freudiano in “bambino epigenetico” eriksoniano (Ondarza Linares, 1999).

In quale modo viene promosso questo processo di comunicazione? Due sono i fattori che inizialmente lo promuovono nel campo gruppale: risonanza e processo speculare.

La risonanza, termine mutuato dalla fisica, sta ad indicare la ripercussione nel campo gruppale di uno stimolo, la reazione con cui ogni membro del gruppo “vibra” o “sintonizza” (dipendendo dal suo livello psicodinamico o maturativo). Il termine allude primariamente alla trasmissione di stimoli sonori di cui la verbalizzazione e la parola costituiscono la più sofisticata elaborazione (“gruppale”). Sebbene risulti chiaro che “Risonanza” non si riduce tuttavia alla sola trasmissione della parola ma coinvolge altri stimoli sensoriali e propriocettivi.

Il processo speculare:  fin dall’inizio ho preferito il nome di “processo speculare”  a quello di “mirror reactions” o semplicemente “mirroring” segnalato da Pines (1982) per sottolineare il ruolo più o meno fondamentale di tale processo nella vita e nella storia naturale degli individui e del gruppo: ogni individuo che si rispecchia per la prima volta negli occhi della madre e poi in ogni gruppo si sviluppa attraverso un processo speculare che la gruppoanalisi privilegia e focalizza con fini terapeutici (Ondarza Linares, 1990). Lo chiamo processo perché appunto non si tratta solo di una reazione al fatto di “vedere o essere visto” o all’ambivalenza del “mostrare o nascondere”- che R. Kaes (1985) chiama “pulsione scopica” – ma di un continuum scambievole di consapevolezza, interesse ed identità che si possono elaborare non solo in un registro genetico-pulsionale, ma soprattutto in una prospettiva evolutiva, formativa, ristrutturante di comunicazione.  Gli apporti contemporanei della neurobiologia italiana:  “mirror neurons” (Rizzolati e Sennigallia) e “sinapsi sociale” (Cozzolino), sembrano confermare quanto espresso sul processo speculare  (vedi Ondarza Linares, 2011).

Prima di continuare con l’accenno schematico al processo di traduzione ricordiamo ciò che dice Foulkes medesimo al riguardo: “ Favorire il processo di traduzione all’interno del circolo gruppo analitico significa promuovere una ‘esperienza mutativa’ nel senso di Strachey (1934)”  che viene indotta dall’intercomunicazione in un sistema di “graduato feed-back”, come direbbe De Marè (1973). Dice ancora Foulkes (1975) “quando si parla di tradurre nel senso di rendere conscio l’inconscio, ciò è inteso in senso totale. Non significa semplicemente la traduzione verbale del contenuto inconscio in quello conscio, ma significa invece che l’interazione psichica vitale tra le diverse strutture della mente, in particolare l’Io, il Super Io e l’Es, viene resa visibile, viene portata all’espressione esplicita nel gruppo, in modo che gli stessi membri del gruppo possano diventare consapevoli di questa lotta dinamica in atto in uno qualunque di loro, mediante la similarità o il contrasto. In questo modo, per mezzo dello stesso processo analitico di gruppo e tramite il lavoro necessario per portare tutto ciò all’espressione manifesta e potenziale, i membri partecipano tutti ad un movimento terapeutico”. (Foulkes, 1975).

Proseguiamo didascalicamente con le fasi del processo di traslazione:

1) Nella “situazione” gruppoanalitica ogni evento produce come è stato già detto una risonanza a cui ciascun membro del circolo risponde più o meno manifestamente, a seconda del proprio livello psicodinamico in cui funziona o è intrappolato come individuo o nel contesto del gruppo. La risonanza stimola una catena di reazioni o risposte, consce o più o meno inconsce.

2) La particolare reazione o i moti osservabili come “figura” o primo piano si riportano al fondo corale del gruppo. Il rapporto tra ambedue determina gestalticamente una configurazione totale di un conflitto o tema di gruppo (il gruppo funziona come “campo gestaltico”).

-La “configurazione” più o meno evidente segnala una fase di particolarissima importanza nel processo di traduzione. Infatti la configurazione permette la localizzazione di un conflitto o disturbo. “Mentre nella psicoanalisi- dice De Marè, 1973 – l’istaurarsi del transfert è la pietra miliare della cura, nel gruppo il processo di localizzazione è quello primario: la localizzazione è possibile solo nel sistema  di gruppo e conferisce agli eventi aspetti interamente differenti. “La localizzazione (location nel termine inglese originale, alcuni testi italiani la traducono “locazione”) – nelle parole di Foulkes (1975) – è al centro di tutto il nostro modo di pensare interno della comunicazione dei gruppi”.  Potremmo dire che è l’equivalente della ”interpretazione mutativa” di Strachey (1934). Ciò ci permette di ribadire ancora che il setting e il dispositivo gruppoanalitico si impostano come un nuovo modello teorico-metodologico e clinico: la relazione e le sue vicissitudini in termini di confronto, comunicazione, nuova identità, senso e significato. Nel campo di tensione relazionale del gruppo analitico, la localizzazione rappresenta il momento di consapevolezza dell’incontro tra “il tempo” diacronico (ivi e allora) e sincronico (hic et nunc). Il momento spazio-temporale “nel gruppo” in cui una domanda individuale (nevrotica o sintomatica per esempio) acquista nuovo significato per il singolo e per il gruppo (come “matrice condivisa”). Lo stesso succede con i movimenti transferali del gruppo riguardo al terapeuta, man mano che “la matrice” del gruppo “cresce e matura” permettendo “l’analisi del transfert nell’azione”.

Spazio intermedio e processo gruppoanalitico  

Solo due righe in relazione al processo di traslazione e allo spazio intermedio (che nel gruppo si crea nell’intrapsichico individuale, nell’interpersonale, nel transpersonale, tra Sé Individuale e Sé Gruppale).

- La sua relazione con lo spazio intermedio è un aspetto essenziale del “processo di traslazione” e il “training del Sé in azione” che accade nel gruppo analitico (vedi Ondarza Linares, 2012).

- Messo in evidenza come è noto da Winnicott in psicoanalisi (1971), lo spazio intermedio viene conquistando crescente importanza come “spazio di relazione terapeutica” (Ogden, 1999). In gruppoanalisi è chiamato da Anthony “intermediate play area” e acquista importanza fondante nel processo gruppoanalitico (Anthony 1978,  Pines 1980,Ondarza Linares 2010).

Molto riduttivamente possiamo dire che questo spazio intermedio è un continuum che attraversa a diversi livelli la struttura, il processo e il contenuto del gruppo analitico in una prospettiva di nuovo senso e significato, per esempio trasformando in “ponti” le barriere, le dicotomie dell’”aut aut” tra Sé individuale e Sé gruppale, aprendo nuove e creative possibili zone di incontro e comunicazione. Ovviamente il processo di traslazione e il training del Sé della comunicazione dovrà incontrare ed elaborare (working though)  le resistenze e difese “individuali” e “gruppali” e i conflitti distruttivi che bloccano la comunicazione.

Alcuni flash clinici sul “viaggio gruppoanalitico”

Presentare esempi clinici di un gruppo analitico è sempre difficile, soprattutto se vengono richiamati in una rete cibernetica, per l’inderogabile segreto professionale (che in analisi non è solo privacy e riservatezza, ma rispetto ermeneutico dei livelli conscio e preconscio ed inconscio che agiscono nella rete terapeutica del gruppo)  E’ difficile raccontare fedelmente, rendere vive le attuali vicissitudini configurate tra Sé individuale e Sé gruppale: sintonia, distonia, empatia, proiezione, introiezione si intrecciano costantemente con elementi di tensione e stimoli propriocettivi e cognitivi, configurandosi costantemente nella rete gruppale che si trasforma in una nuova matrice di comunicazione…

I nostri lettori comunque sono persone abituate a vedere e sentire in uno scenario, campo o spazio attraversato da luci, buio, voci, silenzi e fatti sincronici o diacronici che si manifestano o si nascondono nello spazio gruppale… così tenteremo di compiere con il “nostro gruppo” un “viaggio gruppo analitico” attraverso i nodi che abbiamo accennato.

Inizio del viaggio

Il viaggio con il nostro gruppo di “sette”,  già menzionato, inizia con il motto “siamo tutti nella stessa barca…”; il biglietto d’ingresso è stato il sintomo che “fuori, nel mondo” ci discrimina, segnala o separa…  qui al momento della partenza diventa “il male comune mezzo gaudio…”
Abbiamo ricostruito le propaggini della nostra rete negli incontri iniziali con il nostro terapeuta che accompagna ed orienta il nostro viaggio…così abbiamo una “doppia alleanza implicita”: con il terapeuta e con il gruppo.

I nostri sintomi di sofferenze sono diversi: malessere in mezzo agli altri, nel lavoro o nella vita quotidiana; sofferenze diverse, insicurezza, depressione, paura, timore dell’altrui giudizio, disturbi vari nel corpo e nella mente, fobie che agli altri sembrano ingiustificate ma che a noi chiudono la gola, il respiro, l’orizzonte, lo spazio di vita…, generici o specifici sensi di trasgressione vincolati a sentimenti di colpa più o meno angosciosi… questi sono solo alcuni dei sintomi e dei problemi che ci stanno a cuore, dei quali con “pieno diritto” o altre volte con più o meno velata reticenza potremo parlare quando vorremo, un giorno dello “spazio-tempo”, tempo che è nostro: 90 minuti alla settimana. Non si può dire che sia una “crociera” ma nei mesi iniziali sembra che si stia così bene che si viene con piacere al gruppo (tutti in qualche modo ci riconosciamo in quella che Foulkes chiama la “matrice fondamentale” o “matrice primordiale” dando origine a un grembo di comunicazione che ricorda la vita che nasce e germoglia tra speranza, prospettiva, incertezze, bipolarità, conflittualità e che si trasformerà in una “matrice dinamica” o “creativa”).

Ci addentriamo nel mare e insorgono le differenze

Livia è una ragazza ventiquattrenne che dall’età di 16 anni soffre di disturbi alimentari, discreta obesità e soprattutto sintomi fobici, accentuati in questi ultimi anni. Paura di uscire sola di casa, prendere i mezzi pubblici, paura di soffocare mentre inghiottisce. Livia proviene da un piccolo paese del mezzogiorno pugliese in cui, come lei dice, “tutti sanno i fatti di tutti, li criticano ma fanno finta di ignorarli”. La sua è una famiglia molto in vista: padre e alcuni parenti impegnati in una attività commerciale redditizia che gli consente un buon tenore di vita. La madre, una bella donna, “ci tiene molto alla buona figura e troppo alle opinioni della gente”. C’è un segreto in famiglia: la nonna materna è stata conosciuta per aver avuto rapporti con diversi uomini – da cui procede una rete famigliare intricata e non convenzionale – uniti da vincoli di sangue e dal segreto, che anche il paese conserva con ambivalenza. Il ruolo maschile privilegiato, la condizione femminile assoggettata, sebbene sovraccaricata di responsabilità e solitudine e mancata protezione fisica e affettiva per le frequenti assenze degli uomini, emigranti o partecipi alle guerre. Nella famiglia di Livia, malgrado gli stretti vincoli famigliari, il “segreto” viene assolutamente nascosto, specie dalla madre che si adopera per “proteggere” sempre il marito e anche i due figli dalle “maldicenze”. Un giorno il segreto fu letteralmente “sputato addosso” a Livia, quando aveva 16 anni, dal suo ragazzo indispettito in un momento di gelosia: “cosa ci si poteva aspettare da te se tua nonna è…”. Sgomento iniziale di Livia… finalmente condiviso in famiglia… Da allora crollano illusioni, fantasie e il suo mondo adolescenziale, in cui si sentiva eccellere (con una certa esuberanza relativa al suo fisico ma anche al confronto adolescenziale con l’unico fratello maschio privilegiato dalla madre, mentre lei era la “cocca segreta” del padre): depressione, isolamento, disturbi del comportamento alimentare, crescente conflittualità con la madre e una sintomatologia fobica che conduce la paziente a spostarsi a Roma per studiare all’Università e soprattutto per curarsi dei suoi “vistosi sintomi”. Arriva così al gruppo analitico.

Massimo, 35 anni. Disturbi di personalità per grave trauma nell’infanzia. Morte tragica della sorella “Dina” in un incidente stradale, al cui svolgimento assiste Massimo, impotente, seduto dietro nella vettura con la zia e i cugini. I genitori, sconvolti in modo diverso, vivono la tragedia come irreparabile: il padre non accetta la morte di “Dina”: non se ne deve parlare, si conserva il “suo” posto a tavola, la “sua” bicicletta, ma nessuno la deve usare (“…o ti spacco la testa” è la frase minatoria che ricorre quasi come “un ritornello” nella testa di Massimo). La madre “buona e dolce”, “assoggettata” al padre, manifesta “attaccamento ossessivo” per Massimo, a cui viene reiteratamente espresso: “ho paura che se ti separi da me ti accada qualcosa come a Dina”. Da anni è malata di cirrosi epatica, ha fatto un trapianto di fegato in Inghilterra, conducendo una vita da invalida a “casa” e condizionando in modo più o meno restrittivo la vita familiare. A questo si aggiunge che in questi ultimi anni il padre ha cominciato a mostrare un progressivo Alzheimer-Parkinson che lo ha trasformato da potente, sicuro e aggressivo, in un uomo remissivo e dipendente. Così la vita attuale familiare è il rovescio di quanto era durante l’infanzia. Malgrado l’aiuto affettivo di una zia, il responsabile è diventato lui, Massimo. Massimo se la cava con meccanismi di scissione, negazione e croste caratteriali che determinano frequentemente sfaldamenti di livelli della sua vita affettiva, sessuale e  prospettive di sviluppo.

Sara, 26enne, inviata al gruppo da un collega perché si definisce troppo chiusa, ha difficoltà a comunicare specialmente con persone rivestite di autorità. Ha interrotto per questi motivi i suoi studi universitari di architettura e si è avviata alla scherma come sport,  diventando maestra nella specialità. Il padre  è morto quando aveva 10 anni, e ricorda che la madre insegnante aveva imposto che non si parlasse mai in famiglia della sofferta scomparsa del marito. Ha un ragazzo, si sposeranno appena avranno migliori possibilità economiche. Nel gruppo è completamente silente le prime settimane, tuttavia si sente accettata e viene assiduamente e con piacere alle sedute, mostrando, nel suo sguardo ed atteggiamento, progressiva distensione  ed interesse per il comune discorso.

Mario, 35 anni anche se ne dimostra di meno… soprattutto psichicamente ed emotivamente… è il minore di tre fratelli e molto dipendente dalla madre: essendo l’unico figlio maschio è il cocco di mamma. “Ambivalente soggezione” nei confronti  del padre “falsamente” autoritario.  Nel gruppo del quartiere popolare dove abita, Mario ci tiene a fare il “fichetto” ed è molto dipendente dall’opinione del “gruppo del muretto”. E’ il tipico “ragazzo viziato”, ha smesso di studiare, il padre gli ha comprato un taxi col quale a stento incomincia a lavorare. Dopo qualche mese dall’inizio del gruppo la sua capacità e il rendimento al lavoro sono  andate progressivamente aumentando. Viene al gruppo terapeutico inviato dalla madre, perché presenta sintomi di depressione, ansietà, fobia “del buio”, di dormire da solo, nonchè insicurezza ed insoddisfazione, con bassa e ambivalente stima di sé.

Claudia, 26enne, soffre di fobia alla vista del sangue e delle lucertole notturne, che lei chiama “salamandre”. Soffre fobicamente come suo padre alla vista di ferite o persone che svengono. Il padre è molto ossessivo e “attaccato all’ordine”. La paziente non ricorda carezze quando era bambina.

Silvia, 23enne. Arriva con un intenso rossore in viso e paura di parlare in pubblico; studia Psicologia e la diagnosi di “fobia sociale” che le è stata fatta in classe certamente non l’ha aiutata. I genitori sono separati, e Silvia abita con la madre e il suo nuovo compagno. La madre è solita farle confidenze “intime” fin da piccola; il padre è molto attaccato a lei, la vede ogni domenica e la controlla costantemente al telefono per sapere cosa fa. Ha un fidanzato di cui è molto gelosa. Il primo mese del gruppo Silvia è stata completamente silente, sebbene nel suo viso, in cui forse il rosso andava diminuendo, si vedeva meno tensione (all’inizio aveva paura che le domandassero perché arrossiva, domanda che nessuno le fece fino a che lei stessa non fu in grado di raccontare la sua propria storia da sola).

Vicissitudini del viaggio in corso

Massimo. La morte del padre, accaduta in ospedale (complicanze polmonari di un Parkinson avanzato) fu preceduta da una lunga degenza molto sentita e sofferta, durante la quale si unirono con un profondo e pianto abbraccio (“per la prima volta mio padre mi abbracciava…”). Adesso Massimo si trova da solo a badare alla madre, malata di cirrosi epatica… Si accentuano i momenti di paura per la separazione finale… Massimo è fortunatamente coadiuvato da una zia, una badante, per affrontare problemi emergenti. Più o meno inconsciamente si rifugia in un rapporto affettivo sessuale con donne più o meno ambigue che trova in internet e che frequenta sempre più assiduamente. Nell’ospedale conosce Laura, una bella giovane di dieci anni più piccola di lui, professionista, “molto conformista” che ci tiene molto alla sua carriera, fidanzata “convenientemente” (con un fidanzato che Massimo definisce “fasullo”).  Si instaura un rapporto affettivo sessuale più o meno intenso, ma vissuto con intensi contrasti interiori, qualche volta da parte della ragazza; che da una parte sentiva intenso trasporto in un’intimità “preparata” per Massimo… Aveva tanti altri momenti di colpa e ripensamento di cui veniva accusata dallo stesso Massimo: “vedi in me tuo ‘padre’…”.     Laura, guarda caso, aveva lo stesso nome della madre e della prima donna che iniziò “la catena” di donne cibernetiche e che Massimo, sebbene fortemente attratto dalla sua bellezza fisica, non riteneva di serie A in quanto cinquantenne: “troppo vecchia per sposarla”…  Da sempre, con gli amici, ha diviso le donne in due classi:  serie A – intelligenti, belle, buono status socioeconomico – e serie B, che con gli amici chiamavano scherzosamente “scaldabagno”… (!!!).  Adesso in questa “serie” che M. porta a letto la differenza fra le due “serie”  è diminuita un tantino, però continua un permanente comune denominatore: “Tutte vogliono qualcosa ma nessuna è in grado di dargli quello che sua madre – presa dal suo lutto e dalle sue sofferenze -non gli ha dato…”.  E’ quasi un’assioma che accade puntualmente; inoltre e soprattutto, M. è preoccupato di “fare godere le donne piuttosto che avere un’intimità” (“sento che non ho potuto mai soddisfare mia madre in perenne lutto e sofferenza per la morte di mia sorella”).

Apertura dello spazio intermedio nel gruppo

Un sogno di Livia sembra segnare per lei stessa e per tutto il gruppo l’inizio di una seconda tappa del gruppo in cui risonanza e processo speculare servono per scoprire “differenze” “disaccordi” e diversi punti di vista dell’altro, talvolta per la prima volta nella propria vita. Livia sogna che, seduta in circolo con gli amici di adolescenza e del gruppo, faceva una seduta di gruppo sulla riva del fiume del paese natio. Si apre come un nuovo spazio in cui intimità e sintomi vengono acquistando nuovo significato. Livia racconta al gruppo per la prima volta il conflitto della sua rete famigliare. Il gruppo le è solidale, sebbene alcune “rassicurazioni” siano formali e non raggiungano intimità, come ad esempio: “Non ti devi preoccupare, sono pregiudizi culturali di certe zone d’Italia…ecc..”

Lo specchio gruppale non è sempre quello “bello” e come nella favola di Biancaneve scopre e rivela differenze talvolta inedite e non piacevoli. In una seduta per mancanza fortuita degli altri membri Massimo “il donnaiolo” si trova nel circolo di fronte a Sofia e Claudia…  Stanno mezz’ora immobili e muti senza proferire parole…  Tartagliando, come gli capita in certi momenti difficili in cui ricorda la brutale ammonizione paterna: “se proferisci parole indebite ti spacco la testa”, Massimo proferisce qualche frase, dicendo che le sente per metà sorelle e per metà donne proibite. Claudia rassicura Sofia, dicendo che i suoi occhi sono belli e che non deturpano il suo viso come sempre lei aveva pensato per via della sua cicatrice corneale… Sofia la ricambia dicendole che era bella ma che poteva essere più “sciolta” e partecipe, specie con il suo corpo che sembra gracile e femminile ma è rigido come una “lucertola spaventata”…Massimo aggiunge: “sembra che tu abbia paura del tuo proprio corpo” (glielo dice “tartagliando”)… Claudia meravigliata dice che è la prima volta che “colgo in me una paura, della mia propria immagine”…

Sara episodicamente incomincia a parlare più frequentemente… Riferisce che ha paura e che si sente giudicata dai genitori dei bambini a cui insegna scherma nel ginnasio… I maschi del gruppo le fanno notare che contrariamente a quanto lei si immagina (pensa di non saper  parlare “bene” come sua sorella, che va più d’accordo con la madre…) Sara parla benissimo, anzi usa un linguaggio preciso, forbito, ma quasi sempre “puncicante”, difensivo o aggressivo come se fosse uno schermo.

Durante la pausa di Pasqua Livia decide di viaggiare in Grecia con una compagna di stanza greca… E’ la prima volta che prende l’aereo… prima di partire saluta parenti ed amici “come se fosse l’ultima volta”… Il viaggio va benissimo… e così la permanenza nell’isola in cui abitava nella casa dell’amica. Solo l’ultima notte fu terribile: il padre ubriaco maltrattava la moglie, mentre la figlia assisteva pressoché impassibile… anzi sembrava quasi complice… Lei assisteva o sentiva tutto dalla sua stanza del primo piano,  con crescente paura, come se uno spazio ”fobico” le si stringesse intorno alla gola, soffocandola. Fu una notte terribile.  Il giorno dopo si svegliò come da un incubo e vide la luce del giorno brillante come non l’aveva mai vista…Quando torna a casa… si sente più libera nei riguardi dei genitori: col padre (col quale per la prima volta, contrastando il suo omertoso disappunto, confessa i suoi disagi “sull’origine” della famiglia: sua nonna, sua madre); si sentiva più aperta anche con la madre…il suo rapporto cambiò… Quando tornò al gruppo dopo 15 giorni sembrava un’altra:  dimagrita, luminosa, sorridente era la bella ragazza  che fino adesso aveva coperto (o nascosto)…

Alcuni acting out e resistenze

Sofia, riconfortata per la nuova immagine di se stessa, e la sicurezza e spinta positiva del suo Sé in progresso evolutivo, colse l’opportunità di cambiare lavoro: da call-center a impiegata di Banca, dove le assegnarono niente di meno che lo sportello, che lei accettò tremando. Esporre ogni giorno il suo sguardo agli sguardi talvolta poco gentili di un pubblico sempre esigente… Molto duro è il periodo iniziale, che Sofia affronta avendo “dietro di me lo sguardo incoraggiante del gruppo”.  

Durante uno dei suoi viaggi in treno, venendo a Roma, precisamente “al gruppo”, Claudia ad un tavolo conobbe Roberto, “uomo sposato”, cosa che scoprì immediatamente dal rumore che l’uomo faceva tamburellando con la fede sul tavolo. Durò alcuni mesi questo rapporto con quest’altro uomo sbagliato… Quando seppe che aveva un’altra amante, Claudia sentì “accanirsi” ancora di più il suo sentimento, che le fece scoprire chiaramente che quello che le interessava maggiormente era  contrapporsi e vincere il confronto con la “donna rivale”: raccontato all’inizio quasi con ostentata spavalderia, Claudia prese man mano più consapevolezza del suo trasgressivo triangolo… Lasciò Roberto per Augusto, un top manager, brillante, “ma profondamente narcisistico e mammone”, con un’amante molto possessiva… Sembrava veramente innamorata di questo uomo che voleva assolutamente cambiare, e una volta per la prima volta pregò nella chiesa del paese dell’infanzia. Per la prima volta pregò intensamente per cambiare la sua vita affettiva… Decise di integrarsi più efficacemente nella sua vita professionale; difatti accettò un posto di lavoro a Roma distaccandosi per la prima volta dal paese natio, anche se inizialmente per tre giorni alla settimana… Lasciò progressivamente Augusto, con non poco sforzo… attraversando un periodo depressivo, al che paradossalmente seguì un periodo di cambiamento fisico nell’abbigliamento ed un atteggiamento più apertamente femminile. Tuttavia  afferma che sta vivendo in una specie di limbo…. Che sarà della sua vita…? E’ più assidua nella frequentazione del gruppo.

Il viaggio verso la fine o in alto mare…?

Silvia si sentiva molto meglio e più “sicura”, lo percepì chiaramente durante un viaggio fatto a Venezia in compagnia di suo padre e sua madre, che nell’opportunità si incontrarono per risolvere alcuni affari. Si sentì per la “prima volta” più tranquilla, “in mezzo a loro due o meglio nel sedile antistante, ad assistere senza coinvolgersi nelle loro proprie discussioni…”. Dopo circa due anni e mezzo di gruppoanalisi aveva deciso di finire la terapia. Nel frattempo si era laureata, leggendo serena la sua tesi di laurea con il volto coperto da un tenue rossore. Voleva frequentare una scuola di specializzazione in Psicoterapia.

Dopo qualche mese anche Sara decise di finire “l’analisi” perché doveva sposarsi: i futuri sposi ambedue amavano la vita di comunità e volevano frequentare un gruppo di “convivenza” nella loro parrocchia (qualche mese prima Sara aveva discusso col gruppo la fine della sua analisi, come di solito si usa fare). In quei giorni aveva fatto un sogno: si trovava come sperduta ma serena fuori dal ginnasio dove insegna scherma, non trovava il suo fidanzato Federico; finalmente lo trova e questo le dice: “Guarda che mi hanno detto che hai vinto un primo premio, ma …non in scherma…” . “Io resto… pensando quale possa essere questo sport in cui ho vinto il primo premio, diverso dalla scherma e che io non conosco….”, dice Sara.

Momenti  di perplessità in “alto mare”…

La fine di una gruppoanalisi di solito viene preannunciata e condivisa con il resto del gruppo, con talvolta considerazioni positive e costruttive, auguri per “i partenti”,  ma talvolta con sentimenti di separazione sofferta, con dolore, più raramente con aggressività (è molto importante dare a tale sentimenti il tempo dovuto di elaborazione negli individui e nel gruppo “come toto”).

Dopo l’annuncio di Sara, Livia raccontò un sogno: “Ero come una bambina di 5 anni… camminavo a carponi in una stanza che poteva essere la cucina della casa paterna… anzi mi ricordo bene il caminetto… cerco alcuni oggetti,  forse giocattoli (di Natale), ma sento che c’è qualcosa che devo scoprire ma che mi fa tanta paura e sono al punto di andarmene… ma mi dico: “se non lo “scopro” come saprò di cosa ho paura?” Il sogno suscitò commenti e ricordi animati in tutto il gruppo. Come se fossero tutti discesi al livello proiettivo, e allora il gruppo fosse diventato  un “mercatino in cui ci si scambia gli “oggetti interni”. Ad esempio Sara si sogna seduta con un’amica in un divano in cui si “può parlare di tutto”; ha tra le braccia due esserini che sembrano mostriciattoli, che tuttavia lei deve aiutare a guarire… Mario è decisamente molto attivo e disinvolto nella vita del gruppo… ma quando parla – glielo fa notare Massimo – non si cura né dell’ascolto, né del tempo del gruppo, parla dei suoi problemi come di fatti da raccontare o per esprimere lagnanze sugli altri…non guarda dentro di Sé… come se non facesse analisi… glielo dice Massimo. Lo stesso Massimo aveva sognato che il terapeuta “si metteva accanto a Mario, seduto in un seggiolino…” (un rimprovero mischiato ad un po’ di invidia su “questo Mario bambino”).  Nel gruppo Mario fa un sogno: si trova come se fosse Gulliver…che una volta si sveglia con i nani ed il gigante e un’altra volta coi giganti e i nani… Diminuiscono le sue “trasgressioni” con il gruppo (mancanze occasionali che giustifica con ritardi dovuti al suo lavoro di tassista, anche se riconosce che è forse la paura di affrontare il fatto di arrivare in ritardo….) e anche il ritardo dei pagamenti delle mensilità del gruppo, che prima giustificava con le sue difficoltà di incontro con la Segretaria dato che con il Terapeuta si sentiva a “disagio”. Massimo, da parte sua, nel suo lavoro  a causa della “crisi” è stato messo dall’azienda in “cassa integrazione”;  è un ottimo professionista, decide di “darsi da fare” a cercare un nuovo lavoro anche fuori Roma, a Milano. Fa un sogno. Lui quasi sempre è colui che racconta sogni “ben articolati” nel gruppo… questa volta sogna che ha difficoltà ad aprire gli occhi e a svegliarsi, finalmente ci riesce e si domanda: “Ora cosa debbo fare…?”. Gli viene suggerito dal gruppo: “basta con la ricerca della donna impossibile da accontentare o che non ti contenta mai”: “Laura”. Deve cercare un rapporto leale e autentico con una donna, lasciar andare “vecchi schemi” e lasciarsi andare pure lui, con la sua paura di un vero confronto

 

Bibliografia
- Bosco Giovanna. Dal tramonto dei modelli intrapsichici all’orientamento relazionale. Espeira 9-V-13. Commento    Ondarza Linares J., 11-VII-13.
- Dalal, 2002, Prendendo il gruppo sul serio, Cortina Milano.
- De Marè P. (trad. it.) Prospettive di psicoterapia di gruppo. Astrolabio, Roma 1973.
- Foulkes S. H. (1975), Group Analytic Psychotherapy, trad. it. Astrolabio.
- Foulkes S. H. Anthony, 1957, Penguin Books, Middlesex, England (Roma, 1976).
- Ondarza Linares J. (1999), Le Psicoterapie di Gruppo in Trattato italiano di Psichiatria, II Ed., Masson.
- Ondarza Linares J.(2001), I livelli foulkesiani della comunicazione gruppoanalitica. Conferenza Catg, 2001.
- Ondarza Linares J.(2002), Some reflections about the conflict between the economy of the individual and the  economy of the Group in a metapsychological prospective. 12° European Symposium in Group Analysis, Bologna Ang., 2002.
- Ondarza Linares J., L’interpretazione in gruppoanalisi. Seminario Coirag, 2-VII-09
- Ondarza Linares J. (2009), L’inconscio sociale. La prospettiva gruppo analitica, a cura di. Ed. Universitarie Romane, Roma.
- Ondarza Linares J. (2011), La linea rosa e conflittuale della gruppoanalisi contemporanea. I dieci nodi conflittuali della gruppo analisi. Convegno Sipsic, Roma, 2011.
- Lewin K., Fieldtheory in Social Sciences. Harper and Brochers N. Y., 1951.
- Bion W., Esperienze nei gruppi, Armando, Roma, 1972.
- Karterud S. W., (1999). The group self, empathy, intersubjectivity and hermeneutics… in Self Experience in Group, Kingsley, London-Philadelfia
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- Strachey, (1934). La natura dell’azione terapeutica della psicoanalisi. In Manfredi T., Rivista  Psicanalisi, 1974, 10.
- Winnicott D. W., Playing and reality. Tavistock Publications London, 1971.
- Pines M., Reflections on mirroring, Group Analysis, 1982-15,2.
- Pines M., 1980, Frame of reference of group psychotherapy, Psychoanalisis, 13 (1),16
- Ogden T. H., Il limite primigenio dell’esperienza. Astrolabio, Roma, 1999
- Erikson H. E., 1965. Infanzia e società. Armando Ed.,  Roma.


21/2/2014: Errata corrige: è stata rilevata una piccola ma importante omissione nel testo dell'articolo, che è già stata corretta, ma che segnaliamo a chi avesse letto l'articolo stesso prima di questa data:

Nel paragrafo "alcuni flash sul viaggio gruppoanalitico", IV riga, era scritto: "rispetto ermeneutico dei livelli conscio e preconscio", mentre la  dicitura corretta è " rispetto ermeneutico dei livelli conscio, preconscio ed inconscio"

3 commenti a L’interpretazione nella prospettiva gruppoanalitica: il processo di “traslazione”

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    Rosaria Alberico scrive:

    Ho letto con grande interesse e piacere lo scritto del dottor Ondarza Linares, che ringrazio. Sono riandata indietro ai gruppi esperienziali frequentati nella mia formazione gruppanalitica, purtroppo non portata a compimento. Il conduttore di quei gruppi interveniva molto di rado. Leggendo il racconto della storia del gruppo del dottor Ondarza mi sono trovata a provare ad immaginare la scena, le persone in cerchio e il conduttore in mezzo a loro, uno di loro, come diceva Foulkes, se ricordo bene. Mi piacerebbe molto che il dottor Ondarza Linares aggiungesse qualche riga su se stesso nel gruppo, che riportasse un piccolo esempio di un suo intervento descrivendone la ragione.  

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      Jaime Ondarza Linares scrive:

      Ringrazio Rosaria Alberico per l’interesse sul mio articolo: “L’interpretazione nella prospettiva gruppoanalitica (24/12/2013) anche perché nella sua richiesta sento che prevede la difficoltà di descrivere in “qualche riga” il ruolo e le funzioni del terapeuta che, pur essendo un membro del gruppo in mezzo al circolo, deve esercitare il suo ruolo e funzione di psicoterapeuta e “conduttore” del “processo gruppale”che si va configurando “hic et nunc” nel “viaggio gruppoanalitico”. Il sentirmi “matrix centred” cioè centrato sulla matrice di comunicazione e le sue vicissitudini (“blocchi, resistenze, difese individuali e gruppali”) che a diversi livelli psicodinamici si configurano nel processo gruppale, è la “disposizione” con la quale cerco di al “circolo gruppale” ogni volta…

      In poche righe” commento come ho vissuto la seduta in cui Massimo si trova il solo maschio, davanti a 3  donne del gruppo (Sofia, Claudia e Livia). Di solito Massimo è abituato a rompere il silenzio con un sogno… questa volta tace avendo come risposta anche il silenzio delle 3 donne del gruppo… il silenzio si fa progressivamente più denso e si prolunga per circa 30 minuti… Massimo, tartagliando, come gli capita in momenti di particolare tensioni in cui si sente messo alla prova, mormora, rivolgendosi alle donne….”vi sento per metà sorelle e per metà donne proibite”… Personalmente fin dall’inizio “sento” il silenzio del gruppo come un “blocco” della comunicazione…. denso di significati da scoprire, percepisco il “circolo gruppale” che si sta configurando come un “triangolo”: Massimo – le donne – il Terapeuta (Padre); sento che il blocco avvolge il gruppo e si configura nella “situazione gruppale” (allora ricordo la prescrizione foulkesiana al “conduttore” di essere il più possibile consapevole della natura dei blocchi della comunicazione cercandoli prima nel proprio insight per poi osservarli attentamente nel gruppo domandandosi perché il gruppo non ce la fa ad “attraversarli” da solo prima di proporre interpretazioni opportune che si “localizzano” nella “situazione del gruppo”, piuttosto che nella propria mente). “Condivido” il silenzio del gruppo con rispetto e attenzione…tra complicità, richiesta ed incoraggiamento…Infatti a partire dalla “configurazione” segnata da Massimo…è come se gradatamente si aprisse uno spazio in cui “localizzare” e condividere le vicende conflittuali della psicosessualità “pre-edipica ed edipica” del gruppo…ciò è avvenuto (e continua ad avvenire) in diversi mesi di “elaborazione”(working trough) e configurazioni cliniche che in modi diversi mostrano la condivisione della nuova matrice di comunicazione(“shared matrix”). La mia “neutralità” è quella di “seguire” il gruppo in questo percorso di condivisione anziché “guidarlo” con le mie interpretazioni. E’ una neutralità tutt’altro che passiva…e non sempre facile.

      Mi scuso di rispondere soltanto adesso alla gentile richiesta di Rosaria….purtroppo per diversi miei motivi non ho potuto rispondere immediatamente… Cordiali saluti, Jaime Ondarza Linares

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    Rosaria Alberico scrive:

    Sono veramente grata al dottor Ondarza per la sua risposta, così sollecita, gentile e precisa. Certo, mi rendevo conto di quanto fosse difficile quello che stavo chiedendo, ma sono contenta di aver osato, visto che le righe aggiunte ora completano l'intervento illuminando la figura del conduttore che prima restava completamente in ombra. Grazie anche perché oltre alla chiarezza dei concetti ci dona la possibilità di percepire la partecipazione emotiva del conduttore alla vita del gruppo… Ricambio cordialmente i saluti, che estendo a tutti quelli che leggeranno, invitandoli a partecipare attivamente a questo circolo, che lentamente prende vita…

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