L’abisso del vuoto, il tumulto del pieno

di Gloria Santone Marti

Introduzione di Giovanna Bosco
Riproponiamo qui, nel Circolo on-line, questo scritto di Gloria Santone Marti, già pubblicato nella sezione Esperienze del Bollettino E-spèira n.2. Il testo descrive due percorsi psicoterapeutici in cui si è scelto di introdurre il disegno partendo da due problemi opposti ma speculari: nel primo caso la difficoltà del paziente a comunicare con le parole, nel secondo una verbosità incessante e tumultuosa. Un 'vuoto' di cui non si intravvede il fondo e un 'troppo pieno',  che sono entrambi sentiti dalla terapeuta come rischio di sterilità, impedimento allo sviluppo di un processo realmente trasformativo.

Gloria era una psicoterapeuta che faceva parte dell’Associazione E-spèira e che aveva coraggiosamente imboccato, già alcuni anni prima della sua prematura scomparsa avvenuta alla fine del 2009, percorsi nuovi e creativi. Sono proprio i processi creativi a lanciare un ponte che può mettere in comunicazione il mondo della Psicoanalisi con quello dell’Arte, consentendo un incontro fecondo, generativo di nuove forme terapeutiche. Si potrebbe definire il lavoro che Gloria Santone Marti presenta in questo suo scritto una Psicoterapia a mediazione artistica. Si potrebbe anche parlare di Arteterapia , se non fosse che l’originalità del suo lavoro sta proprio nel fatto che esso travalica sia i canoni tradizionali della Psicoterapia ad orientamento analitico che quelli dell’Arteterapia.

Solitamente l’Arteterapia afferma di bandire dal suo orizzonte l’attività ‘interpretativa’ per focalizzarsi  soprattutto sullo sviluppo delle cosiddette risorse 'sane' del paziente, mentre in questo lavoro di Gloria Santone non si rinuncia a 'dare senso' a tutto ciò che avviene nel campo relazionale, compreso ciò che di 'inaridito' o 'sterilmente ripetitivo" emerge attraverso l’espressione grafica. Ma con una differenza sostanziale rispetto all’'ortodossia' psicoanalitica: la psicoterapeuta non si pone qui come ‘osservatrice neutrale’ che interpreta ciò che il paziente esprime sulla base di un determinato modello esplicativo della Psiche da cui discende un 'sapere già saputo'. La sua formazione, orientata in senso 'relazionale intersoggettivo' la porta invece a mettersi in gioco, a partecipare allo sviluppo di una relazione dialogica in cui entrambi i co-protagonisti si comunicano reciprocamente i loro vissuti e danno 'nuovo senso' alle rispettive espressioni grafiche.

Così ad esempio scrive l’autrice: “Andrea mi fa notare che il mio albero ha una chioma molto colorata, mentre il tronco è talmente nero da sembrare carbonizzato. Mentre disegnavo non mi ero accorta di quel contrasto: sotto qualcosa di inaridito e sopra tanta vita.  Notiamo che il disegno di Andrea è l’opposto: sotto la vita e sopra rami secchi. Nella nostra relazione è nato un primo momento di condivisione, in entrambi i disegni c’è una parte arida e una vitale (…)”  Saranno riconosciute ed ascoltate, nel percorso terapeutico e nei lavori grafico-pittorici, non solo le parti cosiddette 'sane', ma anche quelle oscure, inaridite, oppure irrigidite nella ripetizione di sterili copioni.  E proprio per questo potrà realizzarsi, mano a mano che il processo terapeutico si sviluppa, una vera e propria trasformazione sia degli assetti psichici che delle modalità relazionali.

Si va sempre più diffondendo, all'interno della Psicoanalisi e della Gruppoanalisi, la consapevolezza che il processo psicoterapeutico poggia su un complesso di comunicazioni, sia verbali che extraverbali. Tuttavia solitamente l’unica forma di comunicazione non verbale di cui gli psicoanalisti scrivono e parlano senza difficoltà e diffusamente, quando descrivono dei casi clinici, è il “silenzio”.  
Il silenzio è anche una forma di comunicazione non verbale poiché è assenza di voci, di suoni, oltre che di parole. L’analista sa che la parola non sempre è usata per comunicare, che a volte il parlante continua ad inanellare senza sosta parole e ancora parole per 'tenersi insieme' e per tenere legato a sé l’Altro, senza tuttavia permettergli di entrare davvero nel suo mondo. E sa che quando infine dal groviglio di parole nasce la ‘pausa’, vuol dire che si incomincia a fidarsi almeno un poco, ad aprire uno spiraglio.
Il silenzio può essere apertura di uno spazio che consente l’emergere più nitido delle sensazioni corporee, delle emozioni, delle fantasie e immagini. Ma può anche essere sentito come un ‘vacuum’, un sostare sull’orlo di un precipizio di cui non si vede il fondo, perché è pieno di nebbia, una nebbia dai colori sporchi, che fa desiderare di muoversi verso altri luoghi, dove la terra non manchi sotto i piedi, e le piante possano avere radici e fruttificare.

Nello scritto di Gloria si intrecciano i racconti di due percorsi psicoterapeutici realizzati nel setting duale, con due pazienti temporaneamente istituzionalizzati, l’uno con problemi di tossicodipendenza, l’altra con una sequela di diagnosi che l’accompagnano nei suoi passaggi da un'Istituzione all'altra (anoressia, bulimia, scompensi psicotici, ecc.). Entrambi stanno facendo un percorso di graduale autonomizzazione, con l’obiettivo del reinserimento nella vita sociale.

Nel corso dei primi colloqui la psicoterapeuta si trova di fronte a due problemi opposti ma speculari: “Durante il nostro primo incontro Andrea è taciturno – scrive Gloria – nel suo sguardo leggo diffidenza  (…) Si è lì fisicamente l’una accanto all’altro, ma nel petto c’è il vuoto: dell’incontro nulla risuona dentro”
All’opposto, l’inizio del primo colloquio con Patrizia è descritto così: “lei ad ogni parola si fa più grande, più grande, più grande, io divento più piccola, mi piego all’indietro, lei si allunga verso di me quasi a sovrastarmi. (…) I pezzi di vita che Patrizia mi porta volano per la stanza, è difficile acchiapparli e tenerli fermi anche solo per un poco, ed è per questa ragione che le propongo di disegnare, almeno avremo un foglio con dei limiti, avremo immagini stabili sulle quali, al bisogno, poter ritornare”. Anche la terapeuta disegnerà fianco a fianco con ciascun paziente, e ci sarà reciprocità nel commentare i rispettivi disegni.

Uno dei molti pregi dello scritto di Gloria sta nella 'trasparenza' con cui l’autrice ci permette di sapere ciò che lei stessa prova nella relazione terapeutica, oltre a consentirci di  'vedere' ciò che accade nel setting terapeutico, come in una casa di vetro, e di conoscere quali riflessioni nascono nei  co-protagonisti di questi due avventurosi percorsi nei territori ‘oltre la parola’. La stessa ‘trasparenza’ che Gloria Santone Marti pratica anche nella relazione terapeutica. Così ad esempio quando racconta : “cerco di aprire una piccola porta tra me e Andrea, gli dico del mio sentimento di esclusione e allora lui può accennarmi al suo essersi sentito escluso dal padre violento e in alcuni momenti (…) dalla madre”.  

Molto interessante e originale è anche la forma del racconto, che ci permette di seguire in parallelo le due storie terapeutiche che, pur partendo da problemi comunicativi opposti, hanno come elemento comune la scelta di avventurarsi nei territori ‘oltre la parola’ per poter arrivare a parlarsi in modo autentico.


L’ABISSO DEL VUOTO -  IL TUMULTO DEL PIENO

di Gloria Santone Marti

Andrea e Patrizia sono due pazienti in terapia individuale, con i quali lavoro soprattutto sul piano dell’espressione grafica in quanto Andrea aveva grosse difficoltà a parlare mentre Patrizia, nel moto continuo del suo discorrere, usava le parole a fiotti.
Andrea ha 30 anni, ha un figlio di 5 anni che vive lontano da lui con la sua ex compagna, presenta  problemi di tossicodipendenza. Patrizia ha 28 anni, porta con se una sequela di diagnosi: borderline, anoressia, bulimia, aspetti isteroidi, scompensi psicotici, atti di cleptomania; allo stesso modo del suo parlare fitto e tumultuoso, le diagnosi si affollano nella sua vita.
Entrambi sono in un istituto, dal quale, dopo alcuni mesi di permanenza, possono cominciare a fare delle uscite, finchè verrà il momento in cui saranno pronti per uscirne definitivamente e avere una propria abitazione.

Durante il nostro primo incontro Andrea è taciturno, nel suo sguardo leggo diffidenza, nella mia pancia avverto una stretta che collego a un sentimento di esclusione. Nella stanza aleggiano mondi lontani imperscrutabili, timori. Si è lì fisicamente l’una accanto all’altro, ma nel petto c’è il vuoto: dell’incontro nulla risuona dentro.

L’inizio del primo colloquio con Patrizia posso descriverlo con un'immagine: lei che ad ogni parola si fa più grande,  più grande, più grande, io divento più piccola, mi piego  all’indietro, lei si allunga verso di me quasi a sovrastarmi. Sono l’ennesima psicoterapeuta a cui deve, ancora una volta, raccontarsi. Capisco che in tutte quelle parole più volte ripetute c’è la fatica di riconoscersi: sono gli altri che fanno di lei quella tal persona, mentre lei si percepisce solo come un involucro pieno di frasi che alludono a  pezzi di vita, a pezzi di   memoria confusamente riprodotti all’occasione.

Cerco di aprire una piccola porta tra me e Andrea, gli dico del mio sentimento di esclusione e allora lui può accennarmi al suo essersi sentito escluso dal padre violento e in alcuni momenti (quando proprio non ce la faceva più) dalla madre. Avverto pesantezza nelle sue brevi parole, sento che siamo immersi in un’atmosfera grigio-marrone, greve. C’è bisogno di aprire le finestre su di uno spazio più fresco, come quello dei colori, delle forme. Per il prossimo incontro propongo ad Andrea di disegnare, lui accetta.

I pezzi di vita che Patrizia mi porta volano per la stanza, è difficile acchiapparli e tenerli fermi anche solo per poco, è per questa ragione che le propongo di disegnare, almeno avremo un foglio con dei limiti, avremo immagini stabili sulle quali, al bisogno,  poter ritornare.

Il primo disegno fatto con Andrea è un albero. Sono io a proporre il soggetto da disegnare ciascuno sul proprio foglio: siamo all’inizio di questo cammino insieme e per Andrea è ancora difficile potersi esprimere spontaneamente.  Davanti ai due fogli bianchi è nata dentro di me l’immagine di un albero, sento il bisogno di un rapporto tra di noi che possa mettere radici e fruttificare, che abbia la possibilità di aprirsi e crescere. Il mio è un albero con frutti rossi e gialli, una folta chioma arancione e un tronco nero con tante radici. Il suo ha rami secchi dai quali partono timidi germogli verdi, alla base  vi è un piccolo prato con alcuni fiori. Andrea mi fa notare che il mio albero ha una chioma molto colorata mentre il tronco è talmente nero da sembrare carbonizzato. Mentre disegnavo non mi ero accorta di quel contrasto: sotto qualcosa di inaridito e sopra tanta vita. Notiamo che il disegno di Andrea è l’opposto: sotto la vita e sopra rami secchi. Nella nostra relazione è nato un primo momento di condivisione, in entrambi i disegni c’è una parte arida e una vitale, insieme abbiamo sentito le sue parti spente, indurite e, insieme, abbiamo colorato le parti della possibilità  di un cammino maggiormente fecondo.  Si sta smorzando il sentimento di esclusione, lui ha potuto farmi partecipe di un suo vissuto ed io ho potuto accogliere il suo sentire, nessuno dei due ha escluso l’altro e nessuno dei due si è sentito escluso dall’altro.

Patrizia si avvicina tantissimo a me, sento che in questo modo può accadere che la nostra relazione possa bruciarsi in  fretta. Con lei è come tenere il fiato sospeso, non c’è lo spazio del respiro tanta è la fretta di dire all’altro, di farsi capire, di comprendere (nel senso del racchiudere sul piano spaziale, temporale). Il suo primo disegno non è per niente confuso, in maniera chiara c’è dentro tutto, ovvero i suoi interrogativi sul cosa ci fa lei nell’istituto, i suoi progetti (fare una scuola, trovare un lavoro e mettere su famiglia), il suo cappellino (la protegge dai forti stimoli esterni), un caldo sole i cui raggi attraversano tutto il disegno; quando io finisco il mio disegno Patrizia comincia a scriverci sopra delle frasi sue confondendosi con me, dimenticando lo spazio che aveva dato a se stessa nel suo disegno. Già da subito possiamo riflettere insieme sul suo modo di entrare in relazione con l’altro e posso dirle che sarebbe un peccato bruciare così, sul nascere, la nostra relazione.

Andrea continua ad includermi nel suo mondo, infatti questa volta   propone lui  il soggetto del disegno. La sua proposta è su un qualcosa che in questo momento gli è molto vicina, che lo prende ancora tanto: la cocaina. La rappresenta con siringhe attraversate da lampi rossi in un cielo nuvoloso e piovoso; in basso però vi sono morbide colline verdi, nel mezzo delle quali si intravede una casa dal cui camino esce un’alta colonna di fumo.  Io disegno in giallo un alto fascio di luce accanto al quale si apre un baratro nero che risucchia. A rivederli insieme, il mio è un disegno freddo che vuole rappresentare un monito, il suo è pieno di passione, di disperazione, ma anche della  possibilità di una risoluzione. Capisco che il mio disegno dà una sensazione di razionalità, è un prendere le distanze, un escludermi nel momento in cui Andrea mi accompagna nel suo mondo, nel momento in cui è lui a decidere la strada da percorrere insieme. Ora è lui che si avvicina  a me con il suo disegno dai tratti forti, me ne parla a lungo e con piacere. È lui con la concretezza del suo disegno che recupera uno spazio affettivo forte; il mio disegno- elucubrazione sulla cocaina è come una mera teoria. Questa volta  Andrea dimostra com’è un vero incontro.

Patrizia disegna nel lato in alto del foglio un sole con raggi che lo fanno sembrare un ragno, scrive parole che parlano di lei come vento, evoca con un cuore rosso Carlo l’uomo che ama, ma che è irraggiungibile, chiede aiuto ad un Dio indiano per aver amore, fiducia, pace interiore, popola il foglio di tanti pupazzetti fra i quali c’è anche lei. Io china sul mio foglio a disegnare sento dentro un bisogno di luoghi caldi e accoglienti, di persone che possono stare insieme tenendosi per mano, mentre altre possono allontanarsi da terra su piccole barche a vela, il tutto immerso in un cielo giallo –arancio. Il mio disegno piace molto a Patrizia, mi dice che lo vede come un obbiettivo da raggiungere, si vede lei su una di quelle barche, capace di andare sapendo che c’è anche la possibilità  di tornare e poter tenere la sua mano in quella di altre persone.

È particolare come può nascere e svilupparsi la reciprocità. Il tema portato da Andrea è l’amore. Ed entrambi disegniamo un centro rosso che per Andrea è un cuore rosso e per me un fiore rosso. Lui fa partire dal cuore tanti raggi arancio e viola con fiori attorno, io coloro lo sfondo del mio fiore di verde azzurro e marrone. Prosegue il nostro incontro, che si apre ad un mondo dove è possibile esprimere un sentimento così profondo come l’amore senza aver paura che l’altro sia lì pronto a colpire, a ferire. Sono due disegni complementari, nel mio c’è uno sfondo che dà il senso della profondità, nel suo i raggi colorati che partano dal cuore rosso ed esprimono la possibilità di osare, la capacità di aprirsi nel mondo dei sentimenti.

“I sentimenti dell’ultima settimana” titoliamo i disegni che ci apprestiamo a realizzare con Patrizia. C’è proprio bisogno di dare un contorno e di mettere nero su bianco ciò che è stata quella settimana, dove lei ha vissuto esperienze sessuali crude, che l’hanno mortificata nel suo impeto a volere un vero compagno di vita. Il suo disegno è confuso, ci sono cuori infranti, seni, peni, figure sboccate, croci, ma anche una coppia che sta cenando a lume di candela. Nel mio disegno raffiguro Patrizia con tanti palloncini tra le mani mentre sta volando via, poi raffiguro me stessa protesa verso di lei con una grande mano. È il suo perdersi che pesa dentro di me, la grande mano rappresenta il modo per poter acchiappare l’unicità di Patrizia, che pure c’è, ed è raffigurata nel suo disegno in quella coppia a lume di candela, messa lì, fuori da tutta quella confusione. Prima ancora di vederla nel disegno, ho avvertito la possibilità in Patrizia di avere momenti di pausa dalla sua confusione, con il mio disegno le dico che io sono lì, attenta insieme a lei a salvaguardare quei momenti.

L’entrare nella dimensione dell’amore porta Andrea a voler disegnare il suo rapporto con Anna, la sua nuova compagna. È un modo nuovo per lui di entrare in rapporto con una donna, non ci sono più sostanze stupefacenti che mediano la relazione, lui è lì con tutto se stesso a confrontarsi con sentimenti vivi e chiari, con la lucidità, non c’è più il velo dello sballo a confondere, ad attenuare i vissuti. Io sento questo nascere limpido, ma sento anche la difficoltà del nuovo, sento che qualcosa di oscuro  frena uno slancio genuino, così mi viene da disegnare due cieli azzurri (come gli occhi di Anna) attraversati da un arcobaleno, ma sotto e anche attorno c’è qualche tratto grigio. Andrea disegna una giostra nel mezzo del foglio, con attorno tanti cuori rossi e tratti colorati, come fossero stelle filanti. Ma la giostra nel mezzo è nera. Il mio grigio e il suo nero sono le paure della perdita, c’è gioia nell’incontro  con Anna, ma anche tanta paura di lasciare, di essere lasciato. Andrea mi dice che ha sempre avuto due rapporti  contemporanei per il timore di rimanere solo, mentre ora osa stare solo con Anna, osa riporre la sua fiducia in un’unica persona, passa dalla diffidenza alla possibilità della fiducia  reciproca.

C’è un conflitto fra l’unicità di Patrizia, che ogni tanto fa capolino, e quel ruolo in cui è costretta a vivere, fatto di tante parole, della  maschera di donna fatale, di  grida di aiuto, di interrogativi se essere donna o bambina, di uomini che prendono e lasciano, che vengono presi e lasciati. Faccio un disegno che intitolo “Che spavento la vita”, dove c’è lei che si spoglia dei vecchi abiti lungo un sentiero che porta a una nuova Patrizia vestita di altri abiti. C’è un conflitto anche dentro di me , certe volte non ne posso più della sua teatralità. Certo, capisco, è imprigionata dentro quel ruolo, ma non può essere solo la grande mano a preservare, a farla uscire, è ora che anche lei cominci a rinnovare parti sue, visto che sappiamo esserci la possibilità di farlo. Altrimenti rimaniamo entrambe intrappolate nella staticità, nella ineluttabilità. Tutto questo le comunico con il mio disegno, dicendole anche che è vero, la vita spaventa.

Con Andrea continuiamo ad esplorare la dimensione dell’amore, questa volta l’amore è rappresentato dal figlio lontano. Chissà come si risolverà il loro stare insieme? So che per Andrea è un rapporto tormentato, e lo rappresenta bene nel suo disegno dove c’è uno sfondo di nuvole scure che minacciano temporale, tra queste nuvole appare un sole smorto attorniato da diverse stelle che tentano di brillare di giallo. Io disegno un bambino che corre in bicicletta e guarda verso una specie di bolla dentro la quale ci sono tratti di colore buttati qua e là, sopra di lui si intersecano  forti pennellate color viola. Le stelle e il sole di Andrea dicono i sentimenti che prova per il figlio, le nuvole scure il tormento, ma avverto un certo distacco ideale, come se Andrea non si rendesse sufficientemente conto delle difficoltà reali da affrontare con il figlio. Queste cose gliele dico con il mio disegno tutto movimento, mentre il suo  è statico. Vediamo insieme che forse è ancora presto, sia per Andrea che per il figlio, muovere qualcosa di più nel loro rapporto, però quel qualcosa in più va almeno prefigurato, per essere pronti quando sarà il momento.

Certo la vita può spaventare, soprattutto quando si cerca di uscire da certi schemi, allora si subisce un terremoto dentro di sé. È così che questa volta incontro Patrizia, la sento vibrare, qualcosa sta uscendo da lei e la fa vibrare tutta. Faccio un disegno che intitolo “Vibratile”, dove c’è lei a piena figura in piedi; all’altezza del torace disegno i polmoni di un bel verde, dai quali faccio fuoriuscire tante particelle rosse che vibrano attorno a lei. La volta dopo Patrizia disegna un pezzo di corpo dentro il quale ci sono due elementi ovali, fuori dal corpo c’è un personaggio con un bastone che picchia un gatto, poi un topo che insegue un gatto, dall’altra parte del corpo Patrizia disegna sé stessa, i genitori adottivi e i genitori naturali, ma lei è discosta da loro, il viso rivolto ai due elementi ovali nel corpo. Mi dice che quei due elementi possono essere due reni che filtrano, io le ricordo i polmoni del mio disegno, loro hanno filtrato la sua vibratilità. Le dico che ora non la sento più vibratile, ma piuttosto pacata, mi avvicino a lei per guardare insieme il suo disegno. E lei mi mostra quel suo ruolo di prendere e lasciare o viceversa (l’uomo che picchia, il topo che insegue il gatto), e già il mostrarlo vicino ad un organo che filtra può dimostrare il bisogno di bonificare quelle parti. Può anche cominciare a prendere le distanze dai modelli famigliari. Ci facciamo sempre più vicine mentre parliamo del suo disegno, e intanto sento che la stanza sta diventando un luogo di calda intimità, dove è possibile stare l’una con l’altra pur mantenendo la propria unicità. È a questo punto che Patrizia mi dice che riesce a vivere meglio la sua solitudine, non ha bisogno per forza di cercare un uomo. Mi racconta dell’aiuto che sta dando ad un uomo che da poco è uscito dall’istituto, come un’amica e non come amante. Probabilmente questo nuovo spazio, questo nuovo ruolo, le possono permettere di sentirsi meno sola.

Uno degli ultimi disegni che facciamo con Andrea lo chiamiamo “Andrea che cambia”. E davvero qui c’è un profondo incontro tra di noi. Io non avverto più l’atmosfera grigio-marrone, le finestre sono state aperte sui colori e sulle forme, e cosa appare? Lui disegna un bel bruco verde smagliante che si trasforma in una grande farfalla arancione in volo; io lavoro solo con i colori, una parte del mio foglio diventa di un azzurro intenso come un cielo che si apre, nel quale entra una parte delicatamente verde. Quando guardiamo insieme i nostri due disegni, non possiamo che stupirci dell’incontro che si apre sotto i nostri occhi: la sua farfalla che sta volando può essere accolta nel cielo o sul prato del mio disegno che sono lì vuoti, in attesa che qualche personaggio li animi. E ad animarli sarà proprio la farfalla disegnata da Andrea. L’abisso in cui mi ero sentita cadere con lui durante i nostri primi incontri non  c’è più. Mi accorgo di aver usato la parola animare che ha il significato dell’infondere la vita, il movimento, il calore, del vivificare, del trasfigurare artisticamente. Ne parliamo e Andrea può dirmi che ora non si sente più quel personaggio immobile, che passava  gran parte della sua giornata seduto su di un divano, con lo sguardo perso lontano, si è animato, ora può sentire calore e movimento, possibilità di sentirsi vivo insieme all’altro.

Andrea ha quasi terminato il suo percorso terapeutico, ormai vi è reciprocità nei nostri incontri. Mi porta sogni di cui vuole conoscere il senso, mi parla dei suoi entusiasmi e delle sue difficoltà.
Per Patrizia ci vuole ancora un certo tempo, le sue ferite sono profonde. Siamo comunque riuscite a mantenere integra nel tempo la nostra relazione, raggiungendo la delicatezza dell’intimità, senza farci bruciare dalle fiamme del” Ti voglio per poi lasciarti, così se non mi lascerai tu non mi sentirò sola”.

Un commento a L’abisso del vuoto, il tumulto del pieno

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    Adele Vacca Graffagni scrive:

    Che emozione rileggere l'articolo di Gloria. Mi sembrava di sentire la sua voce mentre lo leggevo e di sentire lo sguardo dei suoi occhi intelligenti e buoni. Un coro a più voci in cui la voce narrante funge da filo conduttore in un crescente fluire di emozioni, dando così vita ad un racconto in cui frammenti di vite spezzate si intrecciano, si incontrano, si riconoscono mescolandosi con i colori su fogli bianchi. Trapela la profonda capacità empatica unita a grande umanità che rendevano Gloria così speciale.

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